Mi chiedo se oggi l’onestà è ancora una virtù. Che cosa vuol dire essere onesti in una cultura che esalta il successo ottenuto a qualsiasi costo attraverso la furbizia e l’abilità? Sono forse considerati ingenui gli onesti? In politica poi, soprattutto dopo Tangentopoli che doveva ripristinare questa virtù pubblica, vi è il tripudio della spregiudicatezza e dell’astuzia. Per non sembrare banali e non perderci ricorriamo dunque alla etimologia e analizziamo questo termine ed il suo significato: deriva dal latino honestas-atis che viene da honus-oris, onore in italiano. Dunque anticamente l’onestà aveva a che fare con l’onore. Era cioè il condensato di tutte le virtù che, come affermava Aristotele nell’Etica Nicomachea, avevano come scopo la bellezza di una vita felice perchè feconda di buone relazioni basate sulla fiducia. L’uomo onesto infatti era degno di fiducia perchè incapace di mentire e di tradire. Il contrario di onestà è disonestà ovvero uomo disonesto è colui che tradisce e dunque non ci si puo’ fidare. Fiducia e onestà andavano a braccetto. Oggi viviamo in un mondo con tante fedi ma scarsa fiducia in una società individualista e liquida, secondo la definizione di Bauman, dove l’onestà è diventata una qualità svalutativa: si dice infatti onest’uomo come dire poveruomo, onesto praticante di una professione come a dire che non eccelle. Eppure continuiamo a sentire affermare che ci vuole fiducia: il Governo ce la chiede, l’economia senza va in crisi e tutto dipende da essa. Le relazioni tra gli uomini si basano sulla fiducia ma invece oggi si diffode la diffidenza che accompagna lo scontento per aver abdicato all’onestà. Per essere onesti bisogna non tradire la verità e cercarla sempre con costanza e coerenza, anche se questa sfugge a volte. La coerenza, attributo della bellezza per gli antichi, ultimamente è caduta in disuso: coherens in latino significava strettamente unito insieme, cioè non in contraddizione con i propri obiettivi e bisogni profondi che per l’onesto sono il bene comune.Oggi si fa a meno di tutto questo e si considera l’onesto un perdente ma attenzione perchè senza onestà vi è la corruzione e la malattia. Si mente anche a se stessi pur di apparire secondo i modelli imposti dalla pubblicità e cosi ci si ammala, alcuni psicologi affermano infatti che la malattia è un rimedio della coscienza per renderci onesti, questo vale sia per l’individuo che per la società. Per quest’ultima la patologia consiste nella conflittualità permanente, che qua e là provoca guerre e distruzioni. Ci si chiede poi che cosa spinge dei giovani cresciuti in occidente, relativamente benestanti, a decidere di arruolersi con il fondamentalismo arabo. Non è forse questa alienazione dalla bellezza della virtù regina?
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lunedì 28 dicembre 2015
Dell'onestà e della coerenza
Mi chiedo se oggi l’onestà è ancora una virtù. Che cosa vuol dire essere onesti in una cultura che esalta il successo ottenuto a qualsiasi costo attraverso la furbizia e l’abilità? Sono forse considerati ingenui gli onesti? In politica poi, soprattutto dopo Tangentopoli che doveva ripristinare questa virtù pubblica, vi è il tripudio della spregiudicatezza e dell’astuzia. Per non sembrare banali e non perderci ricorriamo dunque alla etimologia e analizziamo questo termine ed il suo significato: deriva dal latino honestas-atis che viene da honus-oris, onore in italiano. Dunque anticamente l’onestà aveva a che fare con l’onore. Era cioè il condensato di tutte le virtù che, come affermava Aristotele nell’Etica Nicomachea, avevano come scopo la bellezza di una vita felice perchè feconda di buone relazioni basate sulla fiducia. L’uomo onesto infatti era degno di fiducia perchè incapace di mentire e di tradire. Il contrario di onestà è disonestà ovvero uomo disonesto è colui che tradisce e dunque non ci si puo’ fidare. Fiducia e onestà andavano a braccetto. Oggi viviamo in un mondo con tante fedi ma scarsa fiducia in una società individualista e liquida, secondo la definizione di Bauman, dove l’onestà è diventata una qualità svalutativa: si dice infatti onest’uomo come dire poveruomo, onesto praticante di una professione come a dire che non eccelle. Eppure continuiamo a sentire affermare che ci vuole fiducia: il Governo ce la chiede, l’economia senza va in crisi e tutto dipende da essa. Le relazioni tra gli uomini si basano sulla fiducia ma invece oggi si diffode la diffidenza che accompagna lo scontento per aver abdicato all’onestà. Per essere onesti bisogna non tradire la verità e cercarla sempre con costanza e coerenza, anche se questa sfugge a volte. La coerenza, attributo della bellezza per gli antichi, ultimamente è caduta in disuso: coherens in latino significava strettamente unito insieme, cioè non in contraddizione con i propri obiettivi e bisogni profondi che per l’onesto sono il bene comune.Oggi si fa a meno di tutto questo e si considera l’onesto un perdente ma attenzione perchè senza onestà vi è la corruzione e la malattia. Si mente anche a se stessi pur di apparire secondo i modelli imposti dalla pubblicità e cosi ci si ammala, alcuni psicologi affermano infatti che la malattia è un rimedio della coscienza per renderci onesti, questo vale sia per l’individuo che per la società. Per quest’ultima la patologia consiste nella conflittualità permanente, che qua e là provoca guerre e distruzioni. Ci si chiede poi che cosa spinge dei giovani cresciuti in occidente, relativamente benestanti, a decidere di arruolersi con il fondamentalismo arabo. Non è forse questa alienazione dalla bellezza della virtù regina?
martedì 24 novembre 2015
Periferie
Olio su tela, Nevicata in periferia
La cosidetta rigenerazione urbana, termine diventato di moda tra gli urbanisti o presunti tali, passa principalmente attraverso il risanamento delle periferie ma questa operazione non è facile. Si tratta di agire, attraverso interventi, sia sulla popolazione sia sul costruito che possono durare anche degli anni se non decenni. Poichè le amministrazioni comunali hanno una durata di cinque anni e spesso le azioni non sono eclatanti, non sono cioè da esibire per le elezioni, il più delle volte quindi vengono trascurate quelle opere che sovente sono invisibili ma che danno l’avvio ad un processo di recupero. Invertire il degrado non è operazione da poco ma in alcuni casi bastano pochi e semplici interventi che debbono pero' durare nel tempo dando la sensazione di una cura che prosegue. A volte invece necessita intervenire drasticamente con l’abbattimento di interi edifici o quartieri irrecuperabili che determinano intorno malessere e trascuratezza, dove ad esempio vi sono situazioni malavitose. Quello che urge prima di tutto è una conoscenza approfondita della situazione che metta in evidenza le cause del degrado e le potenzialità del sito. Occorre fissare parametri, fare interviste e viverci per sapere il livello di squallore della vita abitativa e senza la partecipazione degli abitanti non è possibile recuperare alcunchè. Le periferie sono una conseguenza della rivoluzione industriale, prima non esistevano: vi erano case per poveri e per ricchi mescolate dentro le mura cittadine, magari certi quartieri erano malfamati ma non erano rifiutati. Con l’avvento dell’industria si destinano aree esterne per gli operai inurbati dalla campagna e di conseguenza l’idea della periferia come zona di grado inferiore, di serie B rispetto al resto di città, nasce da li’. Oggi non è cambiato nulla, salvo le norme igieniche, ed ammassandosi più della metà della popolazione mondiale nelle aree urbane le periferie si sono estese a macchia d’olio e sono piene di cosidetti non luoghi. La loro integrazione è fondamentale per il benessere cittadino. Per invertire il processo di degrado è necessario guardare il contesto periferico come un insieme di relazioni tra gli abitanti e tra questi e gli edifici. I ghetti nascono dove una parte viene abitata solo da soggetti ritenuti il rifiuto della società. Per risanare non serve inserire funzioni nobili, quali un teatro o un’ università, quando i residenti non sono coinvolti. Ogni intervento deve essere finalizzato a servire chi abita e non a pompare popolazione dall’esterno solo per alcune ore della giornata o giorni della settimana. Bisogna aprire ai bisogni primari degli abitanti e questo consiste in una casa decente in un contesto sano e vitale che si manifesta anche nelle piccole cose come l’arredo urbano, i giardini fioriti, orti di prossimità, negozi di vari generi, non solo centri commerciali, biblioteche e librerie, sale riunioni , centri sanitari , sociali, religiosi ecc. La popolazione dovrebbe essere composta da diverse classi di cui la media prevalente, incentivata da un buon housing sociale. Gli interventi pubblici per i meno abbienti devono essere dimensionati sul contesto e non essere accorpati e incombenti. Dove saranno necessari abbattimenti si creeranno giardini o verde coltivato. La natura ha un ruolo fondamentale nel processo di inversione del degrado perchè necessita cura e il fatto contribuisce a generare la sensazione di avere un potere amico che si prende a cuore il benessere dei cittadini, e gli alberi ben curati ne sono la prova. E’ essenziale recuperare la sacralità del territorio e della vita su di esso. Poichè le periferie non hanno un passato dovrebbe essere valorizzato ogni cimelio e ogni rudere o reperto antico atto a ripercorrere la storia del luogo al fine che l’abitante si senta di far parte di un substrato vitale con una sua dignità nel quale si sente inserito. Il sentimento dell’ appartenenza è fondamentale per evitare fenomeni di alienazione e di estraneamento generatori di disagi psicoemotivi. La bellezza, rispetto per la vita, la si deve recuperare nelle piccole dimensioni e nei cicli stagionali, quindi fiori e frutti saranno il nuovo skayline delle periferie.
giovedì 22 ottobre 2015
Cibo e paesaggio
Verdure dell'orto, acquarello su carta
Circa 10.000 anni fa in zone del pianeta particolarmente fertili come il delta del Nilo o del fiume Giallo nasceva l’agricoltura, cioè l’uomo smise lo stato migratorio alla ricerca di prodotti della natura di cui cibarsi per diventare stanziale coltivandoli. Da quel momento la produzione di cibo, in misura più o meno accentuata, apporta modifiche al territorio e quindi al paesaggio naturale. Queste modifiche seguono i cambiamenti dell’economia agricola nelle varie epoche come sottolineava Emilio Sereni nella sua Storia del paesaggio agrario italiano, a partire dalla colonizzazione greca fino ai giorni nostri, edito nel 1961 da Laterza. Le colture seguono dunque la cultura e viceversa. Cosi l’alimentazione di popolazioni sempre più numerose, proprio grazie alla possibilità di reperire il nutrimento, ha come conseguenza l’uso del disboscamento per ricavare terreno agricolo dove coltivare piante che lo producano. Fintanto che la città viveva delle coltivazioni delle terre del circondario anche il cittadino si rendeva conto della stretta interdipendenza tra uomo e natura. La produzione a km zero, come la si definisce oggi, costituiva proprio la più stretta relazione fra il produttore ed il consumatore, infatti quando nasce la città, come ci ricorda Louis Munford, nasce anche la separazione tra chi coltiva, contadino, e chi consuma, cittadino. Ma prima dell’epoca moderna questa frattura non arriva alla alienazione dalla coscienza del consumatore inurbato di appartenere alla natura e di dipenderne. E’ in epoca industriale che cio’ avviene : quando cioè nascono le grandi compagnie per la produzione alimentare. Anche in questo campo le tecnoscenze introducono la convinzione che la natura sia dominata e sia un pozzo senza fondo con il conseguente suo impiego ai fini del profitto in una economia del denaro. Oggi notiamo che più della metà della popolazione mondiale abita le aree urbane, cioè quelle zone cementificate prive di coltivazioni dove il cibo arriva da molto lontano seguendo le leggi del mercato tramite i mezzi di trasporto sempre più rapidi. Nel resto del globo il territorio è soggetto ad ogni tipo di sfruttamento a fini agricoli o estrattivi e le aree selvatiche rimangono una stretta minoranza continuando ad essere minacciate dai disboscamenti con grave pericolo per la biodiversità, come recita la stessa Enciclica di Papa Francesco, Laudato si. Contemporaneamente questa cultura dello spreco e del consumo rapido produce grandi quantità di rifiuti il cui smaltimento va a turbare gli equilibri naturali, in genere nei paesi più poveri. Il paesaggio cosi non viene solo distrutto dall’industria edilizia e dalla cementificazione selvaggia ma anche dalla scriteriata produzione alimentare. Esempi sono le monoculture, le serre, le stalle, le porcilaie, i pollifici ecc. Tutto questo richiede una regolamentazione, che spesso non esiste, che tenga presente che « non di solo pane vive l’uomo » ma anche di bellezza e particolarmente in Italia dove il paesaggio costituisce una risorsa anche economica che va tutelata e rispettata trovando un equilibrio tra le due necessità. Del resto sta avanzando una cultura ecologica che promuove produzioni agricole anche nelle aree cittadine attraverso l’uso di orti di prossimità e l’utilizzo di alberi da frutto nei parchi urbani. Congiuntamente si riempiono terrazzi e tetti piani di vegetazione provocando cosi la nascita di una nuova coscienza che contribuirà alla salvaguardia della natura e questa è la migliore garanzia per il futuro delle nuove generazioni. Questo doveva essere messo inevidenza da EXPO e non la gastronomia dei vari paesi partecipanti insieme alle multinazionali del cibo. Si discuterà di questo giovedi 5 novembre mattino alla Società Umanitaria nell’ambito del convegno Cibo e Paesaggio.
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giovedì 24 settembre 2015
Dell'architettura
Coldirodi, acquerello su carta
Oggi si dice che non esiste uno stile. Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosidetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più. Come ci si puo’salvare ? A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione e ai tempi. Un intervento che stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo.
Oggi si dice che non esiste uno stile. Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili, anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i mass- media. Il cosidetto stile internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa male anche se a volte serve, ma se gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà più. Come ci si puo’salvare ? A parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di espansione e di contrazione. Oggi abbiamo bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla dimensione e ai tempi. Un intervento che stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di tempo ed eccesso di individualismo.
venerdì 4 settembre 2015
La giusta politica
“Uscire
da soli da un problema è avarizia, uscire insieme è politica”. Questa è
un’affermazione di Don Milani ma purtroppo vi sono problemi da risolvere in
solitudine e problemi comuni da risolvere insieme, è tutta una questione di
livelli. La scuola di Don Milani che ha influenzato il pensiero sull’istruzione negli anni
sessanta settanta andava bene come esperimento di buona educazione , di
generosità e di amore di chi la faceva ma ha dimostrato di non essere
applicabile. Spesso ha dato adito al pressapochismo e alla degenerazione della scuola di Stato in senso buonistico e
missionario togliendo agli insegnanti il giusto riconoscimento come lavoratori.
Lo vediamo attualmente nella vicenda delle assunzioni e dei trasferimenti dove i
soggetti vengono sbattuti a centinaia di
chilometri di distanza da un computer come se non importasse un fico secco che
la scuola fosse integrata al territorio. “I care”, sempre di Don Milani, è una
bella affermazione ma condita con protagonismo e smania di potere ha visto
anche distorsioni inaspettate, soprattutto in relazione ai mass-media e al loro
potere. L’impegno allora diventa narcisismo ed egolatria. In
politica l’esibizione dei buoni sentimenti è irritante perchè sa di
falsità o di “captatio benevolentiae” che, amplificato dai media determina
modelli di perfezione sotto i quali si intravede l’attaccamento al potere. Le
leggi dell’equilibrio non si ingannano e ad una coscienza troppo buona
corrisponde un inconscio di verso contrario. Al potere non si chiede di essere
buono ma giusto e, se si vuole, creativo. Se uno vuol essere buono si ritiri in
un convento oppure non lo dica a nessuno. Creativo invece vuol dire saper
trasformare i problemi in occasioni di
maggior benessere sia a livello individuale che collettivo. Non vuol dire non
avere problemi o scansarli e nemmeno andarseli a cercare, vuol dire
abbandonarsi alla vita e affrontare quello che viene incontro sapendo che non
lo puoi evitare. Oggi una politica
creativa vede il problema dei migranti
come una occasione per rivedere i rapporti fra Stati e la stessa concezione
dell’Unione Europea e la sua politica. E’ importante a parer mio che si
consideri il fatto sostanziale che l’Europa in settant’anni sia diventata un
luogo di pace dove sono garantiti i diritti umani e venga agognata come meta da
chi subisce gli effetti di conflitti e rivoluzioni violente in paesi dove la
vera democrazia non è ancora arrivata. Il flusso dei profughi di conseguenza,
fintanto che in quei posti ci saranno guerre, continuerà senza interruzione. E’
necessario quindi agire affinchè queste guerre cessino e la politica
internazionale deve operare in questo senso
per evitare migrazioni apocalittiche. Tutto questo si ottiene anche
individuando i produttori di armi che
lucrano su questi conflitti. E’ anche importante vedere che gli immigrati
comunque sono necessari all’economia europea ed un certo numero non è dannoso
ma anzi auspicabile. Il problema sta nello stabilirne senza isterismi e
xenofobie, fomentate da demagoghi interessati, il quantitativo e poi legalizzare il loro trasferimento senza
abbandonarlo alle mafie. La fotografia del bambino morto sulla battigia ha
scosso le coscenze di tutto il mondo speriamo che questo serva a uscire insieme
da questo problema.
giovedì 13 agosto 2015
Per Vittorio Borachia
La città ideale, acquarello e pastello su carta
E’ mancato in questi giorni di agosto un amico, collega e maestro, Vittorio Borachia. Sono addolorato e voglio ricordarlo parlando di lui per quello che ho potuto conoscerlo. Era essenzialmente un uomo buono, con un’etica piuttosto stoica. Mi risulta che a vent’anni era in marina durante la guerra e forse un po’ di quella disciplina marinaresca lo aveva contagiato anche nella vita, aveva infatti le virtù dei grandi navigatori : onestà, coraggio, solidarietà, spirito d’avventura, riservatezza e culto dell’amicizia. Era infatti nativo di La Spezia, città che lui amava anche se viveva a Milano ed insegnava Urbanistica alla Facoltà di Architettura. Ho lavorato con lui ai piani delle oasi naturalistiche del mantovano, nei primi anni ottanta, cosi ho potuto conoscere il suo pensiero e la sua cultura. Nonostante appartenesse alla generazione che aveva creduto nella tecnica, nell’industria e nel progresso scientifico, tanto che disegno,insieme a Carlo Santi negli anni 50, una poltrona pieghevole in plastica per la Tecno, lui aveva fin da giovane maturato un amore per la natura che lo porto’ ad abbracciare in architettura l’organicismo di Frank Lloyd Wright che aveva conosciuto a Taliesin West, dove aveva passato un po’ di tempo per seguire il maestro da vicino. Di questa influenza si puo’ vedere la traccia nella casa da lui progettata per la sua famiglia sopra Albavilla in provincia di Como. La sua attività professionale tuttavia è stata prevalentemente dedicata ai piani urbanistici dove per la prima volta si nota il tentativo di coniugare lo sviluppo con la sua sostenibilità ecologica. Per lui il bello in architettura è il prodotto conseguente di una urbanistica ben fatta dove il lavoro dell’architetto si inserisce senza arroganza e provocazione ma con misura ed eleganza, frutto di una concezione aristocratica della sua opera, nel senso etimologico originario di « la migliore ». Ma è proprio sul versante dell’ecologia applicata al territorio, costruito e naturale, che osserviamo la sua novità, considerando i tempi, erano gli anni 70 e 80. Fu infatti uno strenuo difensore del paesaggio come bene da conservare, soprattutto nella sua Liguria, aimè sconvolta dalla speculazione, applicando norme e leggi atte a proteggerlo. Vittorio era politicamente un socialista riformista ed è stato uno dei miei riferimenti ai quali è dedicato il mio ultimo libro L’altro architetto, infatti la figura dell’insegnante nel dialogo socratico si attaglia bene alla sua persona ed alla sua attività di professore e presidente della Fondazione Labo’.
domenica 2 agosto 2015
Della rabbia e della violenza
Giardini Montanelli, acquarello su carta
Quando era bambino avevamo un cane, anzi una cagnetta che quasi ogni anno veniva ingravidata da qualche randagio e partoriva cuccioli bellissimi. Almeno cosi sembravano a noi bimbi felici di assistere a questo miracolo della natura. In genere pero’ se ne dovevano tenere solo due, gli altri purtroppo venivano gettati nel fiume nottetempo dal Primo,il giardiniere. Questi due erano nutriti, fatti crescere ed infine regalati a qualche parente o amico. Un anno pero’ uno l’abbiamo tenuto ed era diventato un bel cane color nocciola che trotterellava allegro accanto alla madre durante le passeggiate nei boschi. Era entusiasmante vedere la sua vitalità, la sua gioia e la sua curiosità. Era pero’ come tutti i cuccioli viziati disubbidiente e non aveva ancora imparato a rispondere al richiamo. Un bel giorno decidemmo di andare a fare una bella passeggiata in pineta, tutta la famiglia di cinque persone e i due cani che festeggiavano l’evento abbaiando ripetutamente. Questa abetaia veniva attraversata da una strada, ancora sterrata, che conduceva ad un sanatorio e veniva percorsa due volte al giorno da una corriera che vi portava i visitatori dalla stazione ferroviaria, lontana un paio di chilometri. Il cucciolo aveva attraversato la strada ed annusava estasiato qualcosa che gli piaceva. Ad un tratto sentimmo il rombo del motore del pulmino, un residuato bellico, e vedemmo in lontananza il polverone che si avvicinava, abbiamo allora chiamato il cane che si attardava facendo finta di nulla. Infine, dopo numerosi urli, trotterellando ha attraversato la strada proprio nel momento in cui giungeva il mezzo che lo centro’ in pieno. Il cucciolo rimase stecchito al suolo, da parte del guidatore nessuna reazione, come se nulla fosse ha continuato la sua corsa lasciandoci ammutoliti di fronte alla tragedia. Quello che era felicità e grazia venne spazzato via dalla violenza dell’atto. Avrebbe potuto frenare o rallentare e quantomeno fermarsi e dimostrare dispiacere dopo l’investimento : nulla. Avevamo avuto l’impressione invece che avesse accelerato apposta per centrarlo. La violenza aveva messo fine ad una vita e dentro di noi bimbi il seme della tristezza, della paura e della rabbia iniziava a germogliare. E’ da questi episodi traumatici che nasce la rabbia. Questa è l’emozione che scatena le guerre. Raccontano gli psicologi che i soldati in battaglia vedono cadere i propri amici e si riempiono di rabbia che supera la paura e accende il desiderio di vendetta. Questi erano i sentimenti che provammo noi nei confronti del sadico autista. Per un bambino il cane è il suo amico. Esiste anche un’etica per il comportamento nei confronti degli animali e delle piante, benchè in Occidente poco seguita, del vivente insomma, perchè noi siamo in quanto apparteniamo ad una vita interrelata con altre vite non solo umane. Il buddista Thich Nhat Hanh lo chiama interessere che prevede la compassione per il vivente. In tempo di abbandono estivo di animali come se fossero cose è utile riflettere. La bellezza promessa di felicità in questo consiste.
Quando era bambino avevamo un cane, anzi una cagnetta che quasi ogni anno veniva ingravidata da qualche randagio e partoriva cuccioli bellissimi. Almeno cosi sembravano a noi bimbi felici di assistere a questo miracolo della natura. In genere pero’ se ne dovevano tenere solo due, gli altri purtroppo venivano gettati nel fiume nottetempo dal Primo,il giardiniere. Questi due erano nutriti, fatti crescere ed infine regalati a qualche parente o amico. Un anno pero’ uno l’abbiamo tenuto ed era diventato un bel cane color nocciola che trotterellava allegro accanto alla madre durante le passeggiate nei boschi. Era entusiasmante vedere la sua vitalità, la sua gioia e la sua curiosità. Era pero’ come tutti i cuccioli viziati disubbidiente e non aveva ancora imparato a rispondere al richiamo. Un bel giorno decidemmo di andare a fare una bella passeggiata in pineta, tutta la famiglia di cinque persone e i due cani che festeggiavano l’evento abbaiando ripetutamente. Questa abetaia veniva attraversata da una strada, ancora sterrata, che conduceva ad un sanatorio e veniva percorsa due volte al giorno da una corriera che vi portava i visitatori dalla stazione ferroviaria, lontana un paio di chilometri. Il cucciolo aveva attraversato la strada ed annusava estasiato qualcosa che gli piaceva. Ad un tratto sentimmo il rombo del motore del pulmino, un residuato bellico, e vedemmo in lontananza il polverone che si avvicinava, abbiamo allora chiamato il cane che si attardava facendo finta di nulla. Infine, dopo numerosi urli, trotterellando ha attraversato la strada proprio nel momento in cui giungeva il mezzo che lo centro’ in pieno. Il cucciolo rimase stecchito al suolo, da parte del guidatore nessuna reazione, come se nulla fosse ha continuato la sua corsa lasciandoci ammutoliti di fronte alla tragedia. Quello che era felicità e grazia venne spazzato via dalla violenza dell’atto. Avrebbe potuto frenare o rallentare e quantomeno fermarsi e dimostrare dispiacere dopo l’investimento : nulla. Avevamo avuto l’impressione invece che avesse accelerato apposta per centrarlo. La violenza aveva messo fine ad una vita e dentro di noi bimbi il seme della tristezza, della paura e della rabbia iniziava a germogliare. E’ da questi episodi traumatici che nasce la rabbia. Questa è l’emozione che scatena le guerre. Raccontano gli psicologi che i soldati in battaglia vedono cadere i propri amici e si riempiono di rabbia che supera la paura e accende il desiderio di vendetta. Questi erano i sentimenti che provammo noi nei confronti del sadico autista. Per un bambino il cane è il suo amico. Esiste anche un’etica per il comportamento nei confronti degli animali e delle piante, benchè in Occidente poco seguita, del vivente insomma, perchè noi siamo in quanto apparteniamo ad una vita interrelata con altre vite non solo umane. Il buddista Thich Nhat Hanh lo chiama interessere che prevede la compassione per il vivente. In tempo di abbandono estivo di animali come se fossero cose è utile riflettere. La bellezza promessa di felicità in questo consiste.
sabato 4 luglio 2015
Della sinistra e altre storie
I bagni Regina, acquarello su carta
Di fronte alle
manifestazioni della politica nostrana viene spontaneo chiedersi se esista una
sinistra nel nostro paese e che cosa sia di sinistra. Credo che valga la pena
chiederselo per poter poi giudicare i nostri governanti che si definiscono di sinistra.
Storicamente essa era quella parte che voleva l’uguaglianza dei cittadini indipendentemente dal censo o
peggio dal casato. Nasce dalla rivoluzione francese nei tre principi, egalitè, fraternitè e libertè.
Dobbiamo tener presente che l’illuminismo l’ aveva favorita credendo
ingenuamente nel raggiungimento della
felicità, le but de la revolution c’est le boneur, affermavano.
La sinistra dunque è per il riscatto sociale, per la difesa dei più
deboli per la flessibilità dei ruoli di potere che vengono attribuiti a chi
dimostra di avere le capacità indipendentemente dalle origini. Dunque la
sinistra è per la continua riforma del sistema di potere per renderlo più giusto
e creativo, per la selezione attraverso il merito e le doti naturali e non per
le rendite di posizione. Quindi la sinistra è per il cambiamento e non per la
rigidità. Tutto questo alcuni hanno pensato improvvidamente che lo si potesse
ottenere con rivoluzioni violente altri con riforme. Massimalisti gli uni,
riformisti gli altri. Ma aldilà dei
mezzi per raggiungere gli scopi suddetti di un nuovo umanesimo si tratta in cui
prevale la fiducia, la solidarietà e la ricerca dell’uguaglianza. E’ basato
insomma su sentimenti ed emozioni positive e non sugli egoismi e sulla paura, emozioni negative. Per raggiungere questo
stato sociale viene ovviamente data molta importanza alla educazione poichè il
popolo, tenuto per secoli nell’ignoranza e nella sudditanza, ha bisogno di essere
istruito per diventare classe dirigente. Da qui l’importanza che viene data
alle scuole perchè il quarto stato deve essere preparato e messo nelle
condizioni di competere con i ricchi nell’assunzione del potere. La scuola diventa cosi un ascensore sociale
che tende a valorizzare i talenti naturali perchè siano messi al servizio della
collettività. Questo era anche il pensiero di Mosè Loria quando lascio’ il suo
patrimonio per fondare una scuola di arti e mestieri, l’Umanitaria, affinchè i
cosidetti « diseredati » si rilevassero da soli, con le proprie
capacità. Lo stesso assunto teorico
anche di Riccardo Bauer che,
antifascista al confino con Pertini, dopo la liberazione preferi restare a
dirigere la Scuola della Società Umanitaria piuttosto che andare in parlamento.
La pedagogia degli oppressi, tanto per citare un saggio di Paulo Freire degli
anni ottanta, è di fondamentale importanza per una politica cosidetta di
sinistra. Dunque tutto quello che è orientato al riscatto sociale dei più
deboli è di sinistra, dai diritti degli andicappati a quelli delle minoranze di
vario genere. Lo stato
interviene a smorzare la forbice tra ricchi e poveri generata dal mercato senza
regole frutto del liberalismo più sfrenato. Infatti ad una concezione socialista
che abbiamo delineato si contrappone una concezione liberale che lascia le cose come stanno e pretende di
dare la massima libertà all’iniziatva privata e alle leggi della
concorrenza. Il fondamento della sinistra
quindi è la fiducia nella persona umana al dilà delle differenze di censo, di
razza e di religione E’ emblematico che ultimamente le uniche cose di sinistra le dica Papa
Francesco che si ispira ovviamente ai Vangeli. Tra i nostri politici
di sinistra purtroppo vediamo una degenerzione di questi principi nel
buonismo, nel protagonismo e nella esibizione narcisistica del potere che
portano al populismo, ahimè.
mercoledì 3 giugno 2015
Dell'arte e degli artisti
Omaggio a Monet, acquarello su carta
Vedo che ultimamente su fb si discute molto sull'arte e gli artisti anche in ragione del prezzi stratosferici pagati dai collezionisti nelle aste per accaparrarsi delle opere di dubbia reputazione, dedicherò quindi questo post all'argomento che ho già trattato sui miei ultimi due libri Ecologia e Bellezza, ed. Alinea e L'altro architetto, ed. Casagrande. L'argomento sul quale spesso si dibatte è cosa sia arte e se questo giudizio sia soggettivo, legato al gusto, oppure no. All'Expo è stata esposta una statua dal titolo L'esibizionista che rappresenta un uomo in posa inequivocabile che con l'impermeabile aperto mostra i genitali. Da lì ne è nato un lungo dibattito a più voci se questa sia arte e dove quast'ultima voglia andare a parare. A mio parere sta avanzando un nuovo interesse perchè sotto si nasconde uno scontento generale per la produzione artistica contemporanea, una ricerca di senso e fame di bellezza. Ho già avuto modo di osservare che la grande rimozione del 900 è stata il bisogno di bellezza e che questa alienazione sta anche alla base della crisi ecologica. Nel mio libro L'altro architetto ho sottolineato il fatto che l'arte nel corso del secolo scorso ha abbandonato il suo fine classico, la bellezza, un sogno etico ed estetico che rifletteva una tensione verso il trascendente da individuare nella interpretazione della natura attraverso l'opera dell' artista-profeta che proprio per questo aveva un ruolo importante nella società antica. Del resto in Grecia sono i poeti e gli artisti che tramandano i miti della religione, l'artista è un sacerdote della bellezza cosmica. Cosmos infatti è ben diverso da universo con cui lo si traduce, è un ordine che segue norme di natura estetica, ogni cosa al posto giusto. Quando la cultura occidentale ha abbandonato il fine della bellezza, e questo è accaduto a partire dal 600 ad opera della filosofia e della scienza, specialmente con Cartesio, allora abbiamo avuto la perdita del ruolo degli artisti e la nascita del gusto. Si è passati da un'arte che aveva il compito di trovare l'universale ad una soggettiva, individuale, che il romanticismo ha ulteriormente esaltato nella libertà e originalità dell'artista. Da lì nascono tutte le storture che oggi riscontriamo nelle degenerazioni espressive contemporanee, manifestazioni di disagi interiori e rappresentazioni di stati patologici dell'animo umano, e chi più ne ha pìù ne metta, in una corsa alla provocazione tout court per sentirsi all'avanguardia. A questo si è aggiunto il mercato del collezionismo che da una parte ha liberato l'artista dalla dipendenza dai committenti tradizionali, aristocrazia e clero, ma dall'altra ha trasformato il fine della bellezza in avidità di denaro. Questa è la situazione attuale dove non vi sono più regole se non quelle del mercato, anche in ragione della trasformazione in economia del valore di un oggetto, dal quello d'uso a quello di scambio. Rimane tuttavia nell'inconscio collettivo la nostalgia per la natura antica dell'arte che è quella originaria degli sciamani di Lascaux, cioè della ricerca del trascendente e dell'unione cosmica ed è questo che noi andiamo cercando. Florenskij diceva che il vero artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili, l'impostore invece sale presuntuso pieno di preconcetti e ne discende con i suoi fantasmi. Questa rimane la differenza tra arte e non arte ma è difficile riconoscerla perchè anche l'osservatore deve saper guardare e andare nel profondo, da qui il coinvolgimento soggettivo e interpretativo. Insomma l'arte dovrebbe toccare le corde emotive più intime che sono di natura estetica e sacra ma bisogna vedere se noi siamo in grado di ascoltarle, questo richiede educazone e sensibilità, il contrario di interesse mercantile.
Vedo che ultimamente su fb si discute molto sull'arte e gli artisti anche in ragione del prezzi stratosferici pagati dai collezionisti nelle aste per accaparrarsi delle opere di dubbia reputazione, dedicherò quindi questo post all'argomento che ho già trattato sui miei ultimi due libri Ecologia e Bellezza, ed. Alinea e L'altro architetto, ed. Casagrande. L'argomento sul quale spesso si dibatte è cosa sia arte e se questo giudizio sia soggettivo, legato al gusto, oppure no. All'Expo è stata esposta una statua dal titolo L'esibizionista che rappresenta un uomo in posa inequivocabile che con l'impermeabile aperto mostra i genitali. Da lì ne è nato un lungo dibattito a più voci se questa sia arte e dove quast'ultima voglia andare a parare. A mio parere sta avanzando un nuovo interesse perchè sotto si nasconde uno scontento generale per la produzione artistica contemporanea, una ricerca di senso e fame di bellezza. Ho già avuto modo di osservare che la grande rimozione del 900 è stata il bisogno di bellezza e che questa alienazione sta anche alla base della crisi ecologica. Nel mio libro L'altro architetto ho sottolineato il fatto che l'arte nel corso del secolo scorso ha abbandonato il suo fine classico, la bellezza, un sogno etico ed estetico che rifletteva una tensione verso il trascendente da individuare nella interpretazione della natura attraverso l'opera dell' artista-profeta che proprio per questo aveva un ruolo importante nella società antica. Del resto in Grecia sono i poeti e gli artisti che tramandano i miti della religione, l'artista è un sacerdote della bellezza cosmica. Cosmos infatti è ben diverso da universo con cui lo si traduce, è un ordine che segue norme di natura estetica, ogni cosa al posto giusto. Quando la cultura occidentale ha abbandonato il fine della bellezza, e questo è accaduto a partire dal 600 ad opera della filosofia e della scienza, specialmente con Cartesio, allora abbiamo avuto la perdita del ruolo degli artisti e la nascita del gusto. Si è passati da un'arte che aveva il compito di trovare l'universale ad una soggettiva, individuale, che il romanticismo ha ulteriormente esaltato nella libertà e originalità dell'artista. Da lì nascono tutte le storture che oggi riscontriamo nelle degenerazioni espressive contemporanee, manifestazioni di disagi interiori e rappresentazioni di stati patologici dell'animo umano, e chi più ne ha pìù ne metta, in una corsa alla provocazione tout court per sentirsi all'avanguardia. A questo si è aggiunto il mercato del collezionismo che da una parte ha liberato l'artista dalla dipendenza dai committenti tradizionali, aristocrazia e clero, ma dall'altra ha trasformato il fine della bellezza in avidità di denaro. Questa è la situazione attuale dove non vi sono più regole se non quelle del mercato, anche in ragione della trasformazione in economia del valore di un oggetto, dal quello d'uso a quello di scambio. Rimane tuttavia nell'inconscio collettivo la nostalgia per la natura antica dell'arte che è quella originaria degli sciamani di Lascaux, cioè della ricerca del trascendente e dell'unione cosmica ed è questo che noi andiamo cercando. Florenskij diceva che il vero artista sale nudo al mondo ultrasensibile e ne discende con verità ineffabili, l'impostore invece sale presuntuso pieno di preconcetti e ne discende con i suoi fantasmi. Questa rimane la differenza tra arte e non arte ma è difficile riconoscerla perchè anche l'osservatore deve saper guardare e andare nel profondo, da qui il coinvolgimento soggettivo e interpretativo. Insomma l'arte dovrebbe toccare le corde emotive più intime che sono di natura estetica e sacra ma bisogna vedere se noi siamo in grado di ascoltarle, questo richiede educazone e sensibilità, il contrario di interesse mercantile.
lunedì 18 maggio 2015
Della pena di morte
Fico d'India, acquarello su carta.
Il tribunale di Boston ha
condannato alla pena di morte il giovane terrorista ceceno che durante la
maratona di due anni fa, insieme al fratello, fece esplodere due bombe procurando la morte di tre persone.
Questa condanna verrà eseguita mediante iniezione letale. Lo stato del
Massachusetts ha abolito da anni la pena di morte ma quel delitto viene
considerato federale ed è prevista quella condanna. Gli Stati Uniti dunque non
vogliono allinearsi con la maggior parte
dei paesi occidentali il cui sistema giudiziario ha soppresso tale pena.
Ogni tanto la legge del taglione viene applicata nonostante ogni volta susciti
riprovazione nel mondo civile e scateni campagne mediatiche contrarie. Già nel 1859 Victor Hugo scrisse una lettera,
pubblicata su tutti i giornali liberi d’Europa, rivolta all’America per
scongiurare l’ esecuzione della condanna all’impiccagione di John Brown sostenitore
della liberazione degli schiavi. Ma invano. Tale fatto contribui a scattenare poi la guerra civile. Non si
vuole intendere insomma che la vita di un uomo non appartiene allo Stato e che
affermare questo significa avallare un pensiero riduttivo e consumistico della
vita che giustifica un assassinio, sia
pure legale.Non mi capacito come in un paese civile ci possano essere ancora
delle persone che di professione fanno il boia, come non si comprenda che un
atto cosi violento non faccia che elevare il livello di violenza insito in
quella società. Tant’è che gli omicidi avvengono con più frequenza. In sostanza
la violenza di Stato scatena la violenza privata, non è vero che la paura di
una tale condanna fa da deterrente al manifestarsi di azioni analoghe. L’ahimsa
di Gandhi, non capisco come l’India non abbia compreso il messaggio, la non
violenza, è una condizione prima mentale e poi fisica. Dunque una popolazione
che accetta la pena di morte è già in un atteggiamento di violenza mentale che
la rende corresponsabile di quell’assassinio e se è questa la situazione come è
possibile che esca dalla condizione riduttiva di un pensiero dicotomico e
paranoico che vede nella distruzione di un nemico la propria salvezza ? E’
questa legge dell’occhio per occhio e dente per dente, che spesso ipocritamente
viene rimproverata a popolazioni considerate
meno civili, che vale la pena di mettere in discussione perchè finchè sarà la
caratteristica della giustizia di un paese non si puo’ sperare di migliorarne
la convivenza civile. Gli assassini e i delinquenti non nascono sotto i cavoli
ma da un substrato di coscienza collettiva che contiene in se il germe della
violenza che si manifesta in personalità poco evolute. Ordunque non si puo’
pensare di guarire la violenza con altra violenza, non si fa che incrementarne
la densità. L’odio viene guarito dall’amore ma la paura lo allontana. Del resto
già il nostro Cesare Beccaria aveva spiegato che non vi è paragone fra un
omicidio privato ed uno pubblico, l’uno nascosto nell’ombra con tutte le
conseguenze di rimorsi e sensi di colpa, vedi Delitto e Castigo di Dostoevskij,
e l’altro reso spettacolare ed esaltato come atto di giustizia che viene
decretato e sadicamente procrastinato nei bracci della morte dove per anni il
detenuto soggiorna in attesa del giorno fatale. Spero, come già affermava Hugo,
che il paese della Libertà si renda conto finalmente della sua incongruenza.
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Ubicazione:
Milan, Italie
venerdì 8 maggio 2015
Expo e Noexpo
Per informazioni inviare una email
Oggi vorrei parlare di
Expo e di Noexpo. Questa manifestazione mondiale che doveva essere il fiore
all’occhiello di Milano rischia di diventare il motivo dominante per i prossimi
dibattiti preelettorali. Vale a dire che un evento di coinvolgimento globale diventa
uno spunto per le beghe di cortile della nostra politica. Il tema della
manifestazione con le sue implicazioni ecologiche prometteva molto ma c’era
anche da aspettarsi che le potenti multinazionali del cibo se ne
approfittassero per farsi publicità. Del resto è nella natura di queste
esposizioni prestarsi alla esibizione del potere della tecnica. Sono nate
proprio per mostrarlo verso la metà dell’ottocento, secolo della cieca fiducia
nella scienza. L’ultima
edizione toccata all’Italia, sempre a Milano nel 1906, infatti, aveva come tema
i trasporti, in omaggio al traforo del Sempione appena inaugurato, e fu
realizzata in Piazza d’Armi, attuale ex Fiera.
E’ chiaro che i centodieci anni passati da allora hanno cambiato di
molto la nostra sensibilità rispetto all’impatto della tecnica sul mondo
naturale. Due guerre mondiali con
milioni di morti e soprattutto lo sviluppo delle armi ci hanno obbligato a
guardare con una certa paura e diffidenza i prodotti delle scoperte
scientifiche soprattutto in ragione del fatto di aver messo nelle manni di
pochi la possibilità di distruggere tutti. Ora in tempi di globalizzazione e di
crisi ecologica, le comunicazioni e i trasporti si sono accelerati a dismisura
tanto che è da condividere l’opinione di
Marc Augè sugli eccessi della contemporaneità : eccesso di tempo, eccesso
di spazio ed eccesso di individualismo.
Bisognava tenerne conto nella progettazione dell’evento, come bisognava
tener conto che un tema simile, Nutrire il pianeta, in un momento di crisi planetaria
con le periferie in rivolta, poteva scatenare reazioni contrarie. Non voglio
entrare nel merito delle violenze degli
antagonisti o casseur, comunque in quanto violenze da condannare, ma si sa da
sempre che la rabbia accumulata poi si scatena in atti violenti, per fortuna
nel nostro caso perlopiù sulle cose. Il
fatto che l’organizzazione abbia preferito destinare un’area apposita all’evento
, anzicchè ad esempio diffonderlo in più punti della città, trasformandolo
cosi in una specie di Gardaland del
cibo, ha contribuito ad isolarlo dal contesto urbano e creerà problemi circa il
riutilizzo di quelle aree a fine Expo. Mi pare insomma che, come al solito, si
siano privilegiati gli interessi dei potenti e i vecchi schemi organizzativi.
Non voglio dire che cosi si
sarebbero evitate le contestazioni ma
almeno si sarebbe comunicato un messaggio più consono ai tempi che, come dicevo,
non sono quelli d’inizio novecento con l’ubriacatura di euforia per il progresso tecnico scientifico.
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Ubicazione:
Milan, Italie
sabato 25 aprile 2015
I migranti
Per informazioni mandare una email
Di fronte alle immagini dei bivacchi in stazione centrale a Milano ed alle tragedie dei migranti che muoiono a centinaia nel tentativo di varcare il canale di Sicilia per sbarcare in Italia si rimane allibiti. Come è possibile che delle persone si sobbarchino disagi di ogni sorta pur di coronare un sogno di benessere e libertà ed infine finiscano in fondo al mare per la spietatezza ed il cinismo di altri uomini? Le domande che affiorano alla mente sono queste. Stavano così male al loro paese, con i loro amici e parenti, la loro natura, il loro paesaggio, i loro governanti? Possibile che delle persone adulte siano tanto sprovvedute da farsi vittime di questi scafisti carnefici da salire, a pagamento, su battelli superaffollati che sempre più spesso finiscono per naufragare? Tento di darmi delle risposte anche in relazione a interviste fatte a qualche immigrato colto dai nostri giornali. Se nel paese in cui hai avuto la ventura di nascere ti costringono con la violenza a rinunciare ai tuoi diritti di uomo, sei privato della libertà di dire o di fare alcunchè, sei sfruttato nel lavoro senza guadagno, o addirittura sei disoccupato e non puoi sfamarti e sfamare la tua famiglia che vedi soffrire e morire il sogno di una vita migliore è quello che ti impedisce di suicidarti moralmente o fisicamente. Ognuno ha il desiderio di una vita migliore e pensa che andando lontano venga esaudito, per di più in paesi che vivono nel consumismo più smodato e nell'abbondanza di quei beni essenziali che noi fatichiamo a procurarci tanto più se questo bengodi viene esibito dalla pubblicità dei mass-media che ovviamente nascondono le ingiustizie sociali. La nostra televisione, fruita anche in Albania, ha provocato negli anni passati le grandi migrazioni dei cittadini di quel paese verso i nostri lidi. E' nella natura dell'uomo aspirare alla felicità e spesso si crede di trovarla nei beni di cosumo, soprattutto se questi scarseggiano, ma anche nella libertà di espressione quando questa manca. Il sociologo Roberto Guiducci alla fine degli anni ottanta scrisse un libro profetico, dal titolo "L'inverno del futuro", che descriveva queste grandi migrazioni da est e da sud di questo nuovo quarto stato che sta invadendo il ricco Occidente. Del resto le guerre non sono forse state dichiarate in nome di un sogno di benessere o di potenza mandando a morire i paria delle società promettendo una vita migliore? Oggi più che mai non si può vivere separati rinunciando a vedere come vive il vicino, tutto il mondo è ormai interrelato e l'azione di un popolo, anche senza volerlo, provoca la reazione di un altro pur anche in tempi dilatati. In buona sostanza l'Occidente paga le sue violenze e ingiustizie passate del colonialismo e della tratta degli schiavi. Ora è necessario vedere il fenomeno alla luce di un pensiero creativo e sistemico: quello che oggi appare un problema può risultare una risorsa, come già succede in alcuni casi. Ma soprattutto può trasformarsi in un'occasione per ripensare i rapporti fra Stati, anche in relazione ad una ONU ormai superata perchè frutto di assetti voluti dai vincitori della seconda guerra mondiale in un mondo diviso per nazioni e per frontiere. Oggi non dovrebbero essere le armi a decretare la potenza dei paesi membri ma la capacità di risolvere i problemi umanitari in una dimensione globale. Una proposta per risolvere la questione degli sbarchi clandestini potrebbe essere quella non di contrastare ma di regolamentare questi flussi istituendo, ad esempio, un servizio legale di traghetti verso l'Italia, in accordo con la Ue che se ne deve assumere la responsabilità, dove chi ha le condizioni per essere accettato possa attraversare il mare in tutta tranquillità e così non si lascerebbe più totalmente in mano agli scafisti il trasporto di questi diseredati.
Di fronte alle immagini dei bivacchi in stazione centrale a Milano ed alle tragedie dei migranti che muoiono a centinaia nel tentativo di varcare il canale di Sicilia per sbarcare in Italia si rimane allibiti. Come è possibile che delle persone si sobbarchino disagi di ogni sorta pur di coronare un sogno di benessere e libertà ed infine finiscano in fondo al mare per la spietatezza ed il cinismo di altri uomini? Le domande che affiorano alla mente sono queste. Stavano così male al loro paese, con i loro amici e parenti, la loro natura, il loro paesaggio, i loro governanti? Possibile che delle persone adulte siano tanto sprovvedute da farsi vittime di questi scafisti carnefici da salire, a pagamento, su battelli superaffollati che sempre più spesso finiscono per naufragare? Tento di darmi delle risposte anche in relazione a interviste fatte a qualche immigrato colto dai nostri giornali. Se nel paese in cui hai avuto la ventura di nascere ti costringono con la violenza a rinunciare ai tuoi diritti di uomo, sei privato della libertà di dire o di fare alcunchè, sei sfruttato nel lavoro senza guadagno, o addirittura sei disoccupato e non puoi sfamarti e sfamare la tua famiglia che vedi soffrire e morire il sogno di una vita migliore è quello che ti impedisce di suicidarti moralmente o fisicamente. Ognuno ha il desiderio di una vita migliore e pensa che andando lontano venga esaudito, per di più in paesi che vivono nel consumismo più smodato e nell'abbondanza di quei beni essenziali che noi fatichiamo a procurarci tanto più se questo bengodi viene esibito dalla pubblicità dei mass-media che ovviamente nascondono le ingiustizie sociali. La nostra televisione, fruita anche in Albania, ha provocato negli anni passati le grandi migrazioni dei cittadini di quel paese verso i nostri lidi. E' nella natura dell'uomo aspirare alla felicità e spesso si crede di trovarla nei beni di cosumo, soprattutto se questi scarseggiano, ma anche nella libertà di espressione quando questa manca. Il sociologo Roberto Guiducci alla fine degli anni ottanta scrisse un libro profetico, dal titolo "L'inverno del futuro", che descriveva queste grandi migrazioni da est e da sud di questo nuovo quarto stato che sta invadendo il ricco Occidente. Del resto le guerre non sono forse state dichiarate in nome di un sogno di benessere o di potenza mandando a morire i paria delle società promettendo una vita migliore? Oggi più che mai non si può vivere separati rinunciando a vedere come vive il vicino, tutto il mondo è ormai interrelato e l'azione di un popolo, anche senza volerlo, provoca la reazione di un altro pur anche in tempi dilatati. In buona sostanza l'Occidente paga le sue violenze e ingiustizie passate del colonialismo e della tratta degli schiavi. Ora è necessario vedere il fenomeno alla luce di un pensiero creativo e sistemico: quello che oggi appare un problema può risultare una risorsa, come già succede in alcuni casi. Ma soprattutto può trasformarsi in un'occasione per ripensare i rapporti fra Stati, anche in relazione ad una ONU ormai superata perchè frutto di assetti voluti dai vincitori della seconda guerra mondiale in un mondo diviso per nazioni e per frontiere. Oggi non dovrebbero essere le armi a decretare la potenza dei paesi membri ma la capacità di risolvere i problemi umanitari in una dimensione globale. Una proposta per risolvere la questione degli sbarchi clandestini potrebbe essere quella non di contrastare ma di regolamentare questi flussi istituendo, ad esempio, un servizio legale di traghetti verso l'Italia, in accordo con la Ue che se ne deve assumere la responsabilità, dove chi ha le condizioni per essere accettato possa attraversare il mare in tutta tranquillità e così non si lascerebbe più totalmente in mano agli scafisti il trasporto di questi diseredati.
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mercoledì 15 aprile 2015
Il design dei fuorisalone
Rileggendo il post sulla creatività del 9,11,2013 cerco di collegarlo al Salone del Mobile o meglio alla Settimana del design a Milano. Bisogna riconoscere che negli anni un evento fieristico ha contagiato tutta la città che per una settimana si veste a festa e si riempie di Fuori Saloni che attirano sempre molto pubblico. Sì, perchè in verità la vera creatività e la dimostrazione di vitalità della città sta proprio in questa proliferazione di iniziative che allargano a macchia d'olio gli spazi espositivi. Non sempre si tratta di opere creative, a volte notiamo una certa ripetitività ed esibizionismo, ma siamo in queste giornate propensi ad assolvere tutti perchè consapevoli che sotto vi è gioia di partecipare, di contribuire in qualche modo a fare sistema, come si usa dire, per rendere migliore Milano, si sente nell'aria la festa di primavera, come quando nel dopoguerra vi era la fiera campionaria che ,dopo le ristrettezze del periodo bellico, nel paese della fame portava la cuccagna . Questo è un modello che dovrebbe essere perseguito anche da Expo, forse, come qualcuno inascoltato suggeriva, sarebbe stato meglio prevedere un evento distribuito in tutta la città anzicchè localizzarlo in un'area con tutti i problemi che genera l'utilizzo di questa nel dopo evento. Ma questo è un'altro discorso che ci riporta alla incapacità della nostra politica di essere effettivamente creativa, tuttavia qui non voglio fare il guastafeste, chi fosse interessato al rapporto fra potere e progetto lo invito a leggersi l'Altro architetto, Casagrande Editore in Lugano e Milano che verrà ripresentato e discusso lunedi 20 aprile, ore 17.30 alla Società Umanitaria con Fiorello Cortiana, Morris Ghezzi e Lidia Arduino.
Il design come termine inglese che riassume in se la creatività artistica nasce con la rivoluzione industriale quando il prodotto in serie, dovuto all'impiego della macchina come moderno mezzo di realizzazione dell'oggetto, necessita di un nuovo linguaggio e di un nuovo rapporto tra artigiano e industria. Il prototipo è sempre frutto di un lavoro artigianale ma deve tener presente di doversi adattare alla produzione in serie. Il pezzo unico è ormai un'eccezione per ricchi snob, l'etica del design è quella di mettere a disposizione di un pubblico più vasto e con mezzi economici più limitati quegli oggetti che un tempo erano solo delle classi abbienti. Dare quindi una veste esteticamente valida ad oggetti del quotidiano era il compito del design, il funzionalismo usando, ad esempio il linguaggio di un Mondrian, rinnova il plasticismo tradizionale adattandolo al mezzo meccanico. Questo risale ai primi decenni del secolo scorso. Lo sviluppo dell'industria e della comunicazione hanno apportato anche in questo campo notevoli cambiamenti. Innanzitutto si è potuto constatare che la pubblicità conta molto più che un buon design, come nel campo artistico vale più la comunicazione che non il valore in se e un oggetto di scadente fattura ma comunicato come buono prevale su quello effettivamente valido ma comunicato male. Nascono infatti i logo che garantiranno a priori la qualità in ragione del loro potere comunicativo. Si genera così un processo diseducativo che allontana dalla bellezza e dalla creatività. Arredare invece una casa dovrebbe essere creare, fare una casa dovrebbe essere come scrivere dei versi o fare della musica. L'intuizione, l'invenzione e l'energia dovrebbero guidare il processo creativo per non cadere nella dipendenza dalle mode. Per quanto riguarda il mio contributo di creatibvità lo troverete su www.mauriziospada.jimdo.com
Il design come termine inglese che riassume in se la creatività artistica nasce con la rivoluzione industriale quando il prodotto in serie, dovuto all'impiego della macchina come moderno mezzo di realizzazione dell'oggetto, necessita di un nuovo linguaggio e di un nuovo rapporto tra artigiano e industria. Il prototipo è sempre frutto di un lavoro artigianale ma deve tener presente di doversi adattare alla produzione in serie. Il pezzo unico è ormai un'eccezione per ricchi snob, l'etica del design è quella di mettere a disposizione di un pubblico più vasto e con mezzi economici più limitati quegli oggetti che un tempo erano solo delle classi abbienti. Dare quindi una veste esteticamente valida ad oggetti del quotidiano era il compito del design, il funzionalismo usando, ad esempio il linguaggio di un Mondrian, rinnova il plasticismo tradizionale adattandolo al mezzo meccanico. Questo risale ai primi decenni del secolo scorso. Lo sviluppo dell'industria e della comunicazione hanno apportato anche in questo campo notevoli cambiamenti. Innanzitutto si è potuto constatare che la pubblicità conta molto più che un buon design, come nel campo artistico vale più la comunicazione che non il valore in se e un oggetto di scadente fattura ma comunicato come buono prevale su quello effettivamente valido ma comunicato male. Nascono infatti i logo che garantiranno a priori la qualità in ragione del loro potere comunicativo. Si genera così un processo diseducativo che allontana dalla bellezza e dalla creatività. Arredare invece una casa dovrebbe essere creare, fare una casa dovrebbe essere come scrivere dei versi o fare della musica. L'intuizione, l'invenzione e l'energia dovrebbero guidare il processo creativo per non cadere nella dipendenza dalle mode. Per quanto riguarda il mio contributo di creatibvità lo troverete su www.mauriziospada.jimdo.com
domenica 5 aprile 2015
Pasqua di resurrezione
Borgo ligure, acquarello su carta
Cosa significa oggi
festeggiare la risurrezione del Cristo ? Possiamo affermare che senza
dubbio è la ricorrenza più importante della cristianità ma quanti se ne rendono
conto, credenti o non credenti ? E’ la festa della creatività, non per
nulla é situata all’inizio della primavera quando la natura si risveglia dal
sonno invernale. La chiesa ha voluto situare il ricordo della risurrezione del suo fondatore quando il sole incomincia a
intiepidire l’aria e gli alberi si coprono di gemme e foglie nuove. Non so se si riflette abbastanza che risorgere è l’atto creativo per
eccellenza, infatti creare è passare da uno stato di non vita ad uno di vita. Il Cristo ha la capacità di risorgere dalla morte
perchè è l’essere più creativo che sia mai esistito. Questa sua qualità gli deriva dal fatto che è
libero dal peccato, come caratteristica dell’ego. Il suo donarsi totalmente
l’ha liberato ed ha potuto rinascere. “Poichè dando si riceve », diceva Francesco d’Assisi che resta il
migliore interprete del Vangelo, e più in là : « perdonando si è
perdonati e morendo si rinasce a vita
eterna ». E’ questo in sintesi il messaggio cristiano più autentico. Potremmo aggiungere quanto affermava Kalil
Gibran a proposito del dolore compagno inevitabile della vita : esso è la
rottura del guscio della nostra intelligenza. Il dolore per la perdita delle
proprietà dell’ego ci conduce ad una creatività superiore. Del resto le
beatitudini che il Cristo elenca sono tutte una rinuncia ai valori del mondo. Sono un viatico di guarigione dalle
malattie generate dall’adesione a quei canoni.
Questa rinuncia porta alla
risurrezione. Quante volte nella nostra vita attraversiamo momenti di morte e
poi risorgiamo se lasciamo andare i nostri attaccamenti alle cose del
mondo ? « Vi do la pace, vi do
la mia pace, non come ve la da il mondo Egli ci dice e questa pace è la
rinascita, la risurrezione attraverso le beatitudini : beati i poveri in
spirito perchè di essi è il regno dei cieli, beati gli afflitti perchè saranno
consolati, beati i miti perchè erediteranno la terra, beati quelli che hannno
fame e sete della giustizia perchè saranno saziati, beati i misericordiosi
perchè troveranno misericordia, beati i puri di cuore perchè vedranno Dio,
beati gli operatori di pace perchè saranno chiamati figli di Dio, beati i
perseguitati per causa della giustizia
perchè di essi è il regno dei cieli. Alessandro Jodorowsky, benchè di origine
ebraica, ha scritto un intero volume, dal titolo I Vangeli per guarire, sulle
beatitudini, analizzzate con la profondità della sua psicologia esoterica
risultano esssere metodi di guarigione dalle nostre malattie individuali e sociali.
Questa, e quindi la rinascita o la risurrezione, avviene quando comprendiamo
che il vero essere deriva dalla rinuncia al potere dell’ego, che si traduce in
rinuncia alla presunzione, all’aggressività, al disprezzo e all’invidia
generati dagli attaccamenti ai valori mondani. Cio’ conduce automaticamente ad
un uomo nuovo, quello che si fa servitore e non si fa servire. Oggi i potenti, anche cattolici, ascoltino questo messaggio.
mercoledì 18 marzo 2015
Della riforma della scuola di Stato
Borgo ligure, acquarello su carta.
In Italia, come ho già avuto modo di osservare, ma evidentemente su questo non siamo mai smentiti dai governi della Repubblica, la scuola di ogni ordine e grado viene considerata più una remora che una risorsa. Gli insegnanti sono i più mal pagati della UE ed inevitabilmente sono anche i più impreparati. Con uno stipendio medio intorno ai 1500 Euro è normale che a tali impieghi accedano soltanto le persone che non hanno altre possibilità, quindi di bassa estrazione sociale e per lo più del sud, oppure gli idealisti o gli ingenui che ritengono attraverso la scuola di migliorare la società, come effettivamente sarebbe giusto che fosse. A questi ultimi ho appartenuto anch'io: essendo figlio di una maestra elementare che a sua volta era figlia di un maestro, fglio di un'altra maestra e così di seguito fino alla quarta o quinta generazione, ho ereditato lo spirito missionario che animava gli educatori di fine ottocento, tipo Cuore, che ritenevano giustamente che l'istruzione aiuta a migliorare le condizioni di vita di un popolo e nel caso italiano serviva a creare una identità nazionale che non esisteva. La scuola di Stato dovrebbe quindi avere anche oggi la massima attenzione da parte dei politici e invece viene perennemente frustrata da tentativi di riforma inadeguati che dimostrano quanta poca considerazione vi sia in Italia per la formazione dei giovani e quindi per gli educatori. Assistiamo insomma ad una sorta di mondo rovesciato dove le cose più importanti, formare degli uomini lo è, vengono relegate all'ultimo posto di attenzione e di retribuzione mentre le cose futili sono al primo posto e i governanti sono i meglio pagati di tutta Europa. Questo è scandaloso ma nessuno ci fa caso tutti presi con i miti televisivi di successo e ciò comporta che, come dicevo, alla scuola accedano solo o idealisti sfigati, almeno così appaiono ai ragazzi, o il ceto intellettuale femminile che notoriamente è meno retribuito, signore sposate che integrano con il magro stipendio quello più consistente del marito. Abbiamo dunque un corpo docente demotivato, frustrato e fannullone che tira a campare e non ha nemmeno i mezzi per aggiornarsi, viaggiare e per arrivare adeguatamente a fine mese mantenendo una famiglia. Un proletariato intellettuale pieno di rabbia che non può avere nessun ascendente sui giovani che è chiamato ad educare e se non si ha la stima e il rispetto del discente non c'è arte maieutica che tenga. Personalmente quando ho assistito a questo degrado, peggiorato se possibile negli ultimi vent'anni, nonostante i miei ascendenti me ne sono andato occupandomi di educazione e formazione attraverso l'Istituto Uomo e Ambiente da me fondato. Stante così la situazione questo Renzi, novello Giamburrasca, ci propone la riforma dei presidi che diventano managers in erba e distribuiscono soldi, udite udite il 5% in più sullo stpendio dei più meritevoli che se non erro sarebbero su 1500 euro 75. Vi immaginate la competizione per accaparrarsi il malloppone! E la chiamano riforma della Buona Scuola. Cambiano i nomi ma non cambia la sostanza: la scuola italiana di Stato è la matrice di tutto il malessere generazionale al quale assistiamo in una secietà senza padri, per citare lo psichiatra Vittorino Andreoli.
In Italia, come ho già avuto modo di osservare, ma evidentemente su questo non siamo mai smentiti dai governi della Repubblica, la scuola di ogni ordine e grado viene considerata più una remora che una risorsa. Gli insegnanti sono i più mal pagati della UE ed inevitabilmente sono anche i più impreparati. Con uno stipendio medio intorno ai 1500 Euro è normale che a tali impieghi accedano soltanto le persone che non hanno altre possibilità, quindi di bassa estrazione sociale e per lo più del sud, oppure gli idealisti o gli ingenui che ritengono attraverso la scuola di migliorare la società, come effettivamente sarebbe giusto che fosse. A questi ultimi ho appartenuto anch'io: essendo figlio di una maestra elementare che a sua volta era figlia di un maestro, fglio di un'altra maestra e così di seguito fino alla quarta o quinta generazione, ho ereditato lo spirito missionario che animava gli educatori di fine ottocento, tipo Cuore, che ritenevano giustamente che l'istruzione aiuta a migliorare le condizioni di vita di un popolo e nel caso italiano serviva a creare una identità nazionale che non esisteva. La scuola di Stato dovrebbe quindi avere anche oggi la massima attenzione da parte dei politici e invece viene perennemente frustrata da tentativi di riforma inadeguati che dimostrano quanta poca considerazione vi sia in Italia per la formazione dei giovani e quindi per gli educatori. Assistiamo insomma ad una sorta di mondo rovesciato dove le cose più importanti, formare degli uomini lo è, vengono relegate all'ultimo posto di attenzione e di retribuzione mentre le cose futili sono al primo posto e i governanti sono i meglio pagati di tutta Europa. Questo è scandaloso ma nessuno ci fa caso tutti presi con i miti televisivi di successo e ciò comporta che, come dicevo, alla scuola accedano solo o idealisti sfigati, almeno così appaiono ai ragazzi, o il ceto intellettuale femminile che notoriamente è meno retribuito, signore sposate che integrano con il magro stipendio quello più consistente del marito. Abbiamo dunque un corpo docente demotivato, frustrato e fannullone che tira a campare e non ha nemmeno i mezzi per aggiornarsi, viaggiare e per arrivare adeguatamente a fine mese mantenendo una famiglia. Un proletariato intellettuale pieno di rabbia che non può avere nessun ascendente sui giovani che è chiamato ad educare e se non si ha la stima e il rispetto del discente non c'è arte maieutica che tenga. Personalmente quando ho assistito a questo degrado, peggiorato se possibile negli ultimi vent'anni, nonostante i miei ascendenti me ne sono andato occupandomi di educazione e formazione attraverso l'Istituto Uomo e Ambiente da me fondato. Stante così la situazione questo Renzi, novello Giamburrasca, ci propone la riforma dei presidi che diventano managers in erba e distribuiscono soldi, udite udite il 5% in più sullo stpendio dei più meritevoli che se non erro sarebbero su 1500 euro 75. Vi immaginate la competizione per accaparrarsi il malloppone! E la chiamano riforma della Buona Scuola. Cambiano i nomi ma non cambia la sostanza: la scuola italiana di Stato è la matrice di tutto il malessere generazionale al quale assistiamo in una secietà senza padri, per citare lo psichiatra Vittorino Andreoli.
giovedì 19 febbraio 2015
Ancora della pace e della guerra
Infinito, olio su tela, cm 50x70
Gandhi predicava l'ahimsa, la non violenza. Quasi tutti i pacifisti contemporanei in qualche misura si rifanno a lui che ha portato l'India all'indipendenza senza guerre civili. Invece noi oggi assistiamo continuamente alla violenza esercitata per conquistare il potere da parte di popolazioni che si affacciano ora alla modernità, intendendo con ciò la democrazia e il mercato. La crisi dell'Ucraina con le due fazioni in lotta, quella filorussa e quella filoeuropea sono un emblema. In Libia abbiamo una situazione analoga: quella dei ribelli filoislamici che attaccano il governo legittimo appoggiato dagli occidentali. La cifra degli ambiti di crisi che impensieriscono il mondo è la violenza e stupisce la facilità con cui intere popolazioni trovino organizzazione ed armi per esercitarla. Non siamo così ingenui da non sapere che questi ordigni bellici vengono forniti dallo stesso mondo occidentale che ipocritamente condanna le guerre. E' chiaro che se non si producessero armi da guerra e non si facessero affari notevoli sulla loro vendita in zone calde quanto meno si avrebbero situazioni più chiare e la fine dei conflitti per mancanza di strumenti. Invece abbiamo paesi, compreso il nostro, che producono e forniscono armi in cambio di denaro. Dove trovino poi i ribelli tutti questi soldi non è chiaro ma è evidente che li raccolgono da chi ha grossi interessi che la guerra continui. Possiamo di conseguenza affermare che è questo tipo di economia che scatena e sostiene le guerre e dunque è definibile come un'economia di guerra che si appoggia sulla violenza. Tornando a Gandhi egli aveva insegnato agli inglesi e al mondo che non è necessaria la violenza se i tempi sono maturi per un cambiamento e le ragioni sono giuste. Purtroppo si continua invece a praticarla come mezzo di raggiungimento del potere. A coloro che affermano che l'Italia deve armarsi per difendersi si può dunque rispondere che si è vero in un mondo violento e fondato sull'ingiustizia e sull'interesse ma bisogna congiuntamente lavorare perchè questa situazione migliori, diminuisca la forbice tra ricchi e poveri e cessi il mercato delle armi e soprattutto l'Italia pensi ad investire quei fondi alla valorizzazione della bellezza che è nemica della guerra, nei sui paesaggi, nelle opere d'arte e nei suoi musei. Si deve fare attenzione a non cadere nella trappola della emotività generata dai fautori dei conflitti che hanno interesse a risvegliare "l'occhio per ochio e dente per dente", antico codice d'onore che porta in sè i semi della vendetta. La pace la si conquista con un sano equilibrio che considera la risoluzione militare come l'ultima risorsa quando effettivamente tutte le altre sono fallite, senza fretta di arrivare alla conquista di una sicurezza che in questo mondo non esiste. Gandhi infatti affermava che anche la fretta indebita è violenza. Come del resto lo è la pena di morte anche se comminata dai tribunali di paesi democratici. Essa porta in sè il messaggio che la vita di ognuno appartiene allo Stato che punirà togliendola a chi commette azioni gravi contrarie alle sue leggi. Ma la vita non appartiene all'organizzazione statale ed ha in sè un mistero irrisolvibile anche dalla scienza più avanzata. Fintanto che ci saranno paesi "sviluppati" che la praticano è chiaro che non si può ipocritamente denunciare i fondamementalisti islamici che condannano a morte i prigionieri. In Cina lo scorso anno sono state eseguite 2400 sentenze di morte e il codice penale prevede tale pena per 55 reati, tra cui ad esempio anche lo spaccio di droga. E'chiaro che tale situazione non viene propagandata perchè ne avrebbe danno l'immagine di un paese in grande sviluppo economico ma questa realtà viene comunemente accettata come del resto viene accettata anche negli Stati Uniti, grandi paladini della democrazia. "Occhio per occhio dente per dente" è il codice di base anhe nei paesi cristiani. Del resto la stessa Chiesa cattolica ha accolto le logiche statali e con l'editto di Costantino ha fatto da supporto allo Stato di diritto romano dove era prevista le pena di morte e la tortura ed invece di influenzarne le leggi le ha adottate e praticate. Nello Stato del Vaticano infatti fino al 1969 era prevista la pena di morte e fu comminata l'ultima volta nel 1870 con l'uso della ghigliottina, per non parlare della Santa Inquisizione nei secoli precedenti . Ora l'ISIS condanna a morte per altri motivi e spettacolarizza l'esecuzione attraverso il potere dei media occidentali. Sta dunque all'Occidente "razionale e illuminato" non cadere nel tranello dell'emotività e dare l'esempio abolendo ovunque la pena di morte. Non è anche quello dei condannati dai tribunali occidentali uno spettacolo violento e raccapricciante?
Gandhi predicava l'ahimsa, la non violenza. Quasi tutti i pacifisti contemporanei in qualche misura si rifanno a lui che ha portato l'India all'indipendenza senza guerre civili. Invece noi oggi assistiamo continuamente alla violenza esercitata per conquistare il potere da parte di popolazioni che si affacciano ora alla modernità, intendendo con ciò la democrazia e il mercato. La crisi dell'Ucraina con le due fazioni in lotta, quella filorussa e quella filoeuropea sono un emblema. In Libia abbiamo una situazione analoga: quella dei ribelli filoislamici che attaccano il governo legittimo appoggiato dagli occidentali. La cifra degli ambiti di crisi che impensieriscono il mondo è la violenza e stupisce la facilità con cui intere popolazioni trovino organizzazione ed armi per esercitarla. Non siamo così ingenui da non sapere che questi ordigni bellici vengono forniti dallo stesso mondo occidentale che ipocritamente condanna le guerre. E' chiaro che se non si producessero armi da guerra e non si facessero affari notevoli sulla loro vendita in zone calde quanto meno si avrebbero situazioni più chiare e la fine dei conflitti per mancanza di strumenti. Invece abbiamo paesi, compreso il nostro, che producono e forniscono armi in cambio di denaro. Dove trovino poi i ribelli tutti questi soldi non è chiaro ma è evidente che li raccolgono da chi ha grossi interessi che la guerra continui. Possiamo di conseguenza affermare che è questo tipo di economia che scatena e sostiene le guerre e dunque è definibile come un'economia di guerra che si appoggia sulla violenza. Tornando a Gandhi egli aveva insegnato agli inglesi e al mondo che non è necessaria la violenza se i tempi sono maturi per un cambiamento e le ragioni sono giuste. Purtroppo si continua invece a praticarla come mezzo di raggiungimento del potere. A coloro che affermano che l'Italia deve armarsi per difendersi si può dunque rispondere che si è vero in un mondo violento e fondato sull'ingiustizia e sull'interesse ma bisogna congiuntamente lavorare perchè questa situazione migliori, diminuisca la forbice tra ricchi e poveri e cessi il mercato delle armi e soprattutto l'Italia pensi ad investire quei fondi alla valorizzazione della bellezza che è nemica della guerra, nei sui paesaggi, nelle opere d'arte e nei suoi musei. Si deve fare attenzione a non cadere nella trappola della emotività generata dai fautori dei conflitti che hanno interesse a risvegliare "l'occhio per ochio e dente per dente", antico codice d'onore che porta in sè i semi della vendetta. La pace la si conquista con un sano equilibrio che considera la risoluzione militare come l'ultima risorsa quando effettivamente tutte le altre sono fallite, senza fretta di arrivare alla conquista di una sicurezza che in questo mondo non esiste. Gandhi infatti affermava che anche la fretta indebita è violenza. Come del resto lo è la pena di morte anche se comminata dai tribunali di paesi democratici. Essa porta in sè il messaggio che la vita di ognuno appartiene allo Stato che punirà togliendola a chi commette azioni gravi contrarie alle sue leggi. Ma la vita non appartiene all'organizzazione statale ed ha in sè un mistero irrisolvibile anche dalla scienza più avanzata. Fintanto che ci saranno paesi "sviluppati" che la praticano è chiaro che non si può ipocritamente denunciare i fondamementalisti islamici che condannano a morte i prigionieri. In Cina lo scorso anno sono state eseguite 2400 sentenze di morte e il codice penale prevede tale pena per 55 reati, tra cui ad esempio anche lo spaccio di droga. E'chiaro che tale situazione non viene propagandata perchè ne avrebbe danno l'immagine di un paese in grande sviluppo economico ma questa realtà viene comunemente accettata come del resto viene accettata anche negli Stati Uniti, grandi paladini della democrazia. "Occhio per occhio dente per dente" è il codice di base anhe nei paesi cristiani. Del resto la stessa Chiesa cattolica ha accolto le logiche statali e con l'editto di Costantino ha fatto da supporto allo Stato di diritto romano dove era prevista le pena di morte e la tortura ed invece di influenzarne le leggi le ha adottate e praticate. Nello Stato del Vaticano infatti fino al 1969 era prevista la pena di morte e fu comminata l'ultima volta nel 1870 con l'uso della ghigliottina, per non parlare della Santa Inquisizione nei secoli precedenti . Ora l'ISIS condanna a morte per altri motivi e spettacolarizza l'esecuzione attraverso il potere dei media occidentali. Sta dunque all'Occidente "razionale e illuminato" non cadere nel tranello dell'emotività e dare l'esempio abolendo ovunque la pena di morte. Non è anche quello dei condannati dai tribunali occidentali uno spettacolo violento e raccapricciante?
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sabato 7 febbraio 2015
Il buon Presidente
Il risveglio. 2013, olio su tela, cm. 50x70
Ecco,
abbiamo il nuovo Presidente della Repubblica in Italia. Questo evento ci induce
ad alcune riflessioni sulla natura del potere, sulla vita e sulla felicità. Sembra
che questo Mattarella sia una brava
persona o che perlomeno sia un ex democristiano, cristiano per davvero. Lo
dipingono come un uomo riservato e solitario esponente di una famiglia notabile
di Palermo, dove il padre è stato anch’egli ministro e il fratello Presidente
della Regione è stato ucciso dalla mafia. Mi pare una buona presentazione per
chi deve rappresentare uno Stato come l’Italia. Mi chiedo come uno possa
sentirsi catapultato sulla carica più importante della Repubblica. Qui occorrono alcune rislessioni sulla natura
del potere e sul desiderio di esso. Possiamo
definirlo come la possibilità di alcuni di disporre della vita di altri. Al
dilà della differenza tra il Potere di un Re e quello del Presidente di una
repubblica, e tralasciando il contrasto tra un potere dispotico ed un potere
democratico, sempre di quello si tratta, di incidere sulla vita di altri. E’
evidente che chi si occupa di politica vuole in qualche modo raggiungere il
potere altrimenti farebbe altro. Platone diceva che se non vogliamo occuparci
di politica lasciamo poi che al potere vadano gli stupidi e gli ignoranti. Nel migliore dei casi si vuole raggiungere il
potere per cambiare in meglio la vita del popolo ma anche per ambizione e cioè
per sentirsi riveriti e ascoltati. Ognuno di noi aspira alla felicità, cerca il
significato della sua vita e vuole compierlo,
vuole acquisire il senso della connessione con il trascendente, desidera
che gli altri lo rispettino e vuole sentirsi sicuro. Tutto questo lo puo’ ottenere in diversi modi a
seconda del suo livello di coscienza. Si va dalla violenza sugli altri, confondendo il dominio con la sicurezza, al
sacrificio di se per gli altri, manifastezione della estrema forma d’amore. E’ evidente che ai fini di una vita migliore
per tutti sarebbe opportuno che al potere ci andassero questi ultimi ma
purtroppo, da che mondo è mondo, non è cosi’,
le cariche più importanti le desiderano e le conquistano spesso i
prepotenti, i malfattori e i demagoghi, per tralasciare i pazzi ed i sadici. Il potere, proprio per questa sua
caratteristica di illusione di superiorità, funziona come un droga : ti fa
sentire forte e grande anche perchè oggetto di continuo servilismo da parte dei collaboratori. Non a caso in
tutte le tradizioni religiose il mistico, ovvero colui che vuole incontrare la
verità, abbandona il potere come la più pericolosa delle idolatrie. Si ricordano
le tentazioni di Gesù nel deserto per i cristiani. Tornando al tema della
felicità, dunque essa non ha a che fare con il potere ma con l’interpretazione
della propria natura. La saggezza greca diceva conosci te stesso e mantienti
lontano dalle passioni, questo ti porterà all’eudemonia ,ovvero la felicità.
Che c’é dunque da festeggiare per l’assunzione di un potere sia pure il più
alto dello Stato ? Nel sessantotto uno slogan recitava : la fantasia
al potere, sbagliando e confondendo fantasia con creatività, tuttavia il senso
era che al potere ci andassero coloro che non si identificano con esso ma che
usano le proprie risorse creative al servizio altrui . Speriamo che
Mattarella sia fra questi. Il fatto che abbia mostrato molta riservatezza fa
sperare che senta il peso di questa responsabilità e che non si esalti per il
potere in se ma lo senta come il compimento della sua missione in questa vita.
giovedì 15 gennaio 2015
I fatti di Parigi
Image, hommage a Monet, acquerello su carta 25x35
Non si possono passare sotto silenzio i fatti di Parigi e anche noi abbiamo fatto le nostre considerazioni in seguito anche al post del primo dell'anno. Dopo la massiccia manifestazione di solidarietà a Charlie Hebdo siamo tutti più sicuri che l'Occidente reagirà con la necessaria determinazione agli attacchi dei terroristi ma viene da chiedersi: il messaggio forte che ha rappresentato con l'aiuto dei media a chi era diretto? Se era diretto ai fondamentalisti credo che non li spaventi certo anzi ritengo che era quello che volevano, cioè dare il massimo di pubblicità al fatto di sangue che beninteso era una vendetta verso chi, in un certo senso, prendeva in giro la loro cultura, relegata in Francia come in Italia o in Germania alle periferie e quindi a uno stato di subalternità. In queste condizioni sociali, in cui chi si sente escluso guarda con rabbia e disperazione gli inclusi, senza speranza del proprio riscatto, dove la forbice tra chi ha troppo e chi non ha a sufficienza non sembra diminuire, la religione diventa il manifesto della propria identità che non può essere messa in discussione nè tanto meno farne oggetto di satira perchè ciò diventa profanazione. L'etimologia del termine ci aiuta a comprendere: profano significa fuori dal tempio dove vive la dimensione del sacro, come realtà profonda, atemporale. Quel nocciolo di verità che è in noi e che non subisce gli influssi del tempo profano. Una volta anche da noi esisteva un proverbio che recitava: "Scherza coi fanti e lascia stare i santi", ed il motivo era ben questo, i diseredati alla fine non hanno che la loro identità religiosa e considerano oltremodo svilente fare dell'ironia sul loro credo. In una situazione di disagio sociale e di ignoranza ci si ammazza anche per il tifo sportivo figuriamoci per una fede. Del resto l'Islamismo quando gli arabi erano conquistatori e quindi dominavano da noi in Sicilia o in Spagna era molto tollerante, molto più che le varie sette cristiane tra di loro che uccidevano e torturavano per questioni dottrinarie. L'Islam era allora la religione dei dominatori e poteva permettersi la tolleranza anche perchè nessuno si permetteva di fare dell'ironia. Quando si è ridotto alle popolazioni più povere dominate dal colonialismo occidentale è diventato intollerante proprio per le ragioni esposte sopra. Quindi a parer mio non si tratta di guerra di religioni ma di conflitto tra chi non ha e chi ha troppo, tra il sud e il nord del mondo, tra le periferie e i centri decisionali. La religione, in questo caso come in altri, è la divisa di appartenenza in un pensiero dualistico tipico tra l'altro della nostra cultura, o incultura, del cosidetto benessere e della competizione permanente. Nel mondo globalizzato dunque è il dio denaro ed il potere connesso che provoca questi conflitti. Oltretutto oggi si è aggiunta la tecnica che si è asservita al nuovo capitalismo di cui subiamo le scelte per ridurci consumatori passivi anzicchè cittadini democratoci. Quando dunque si parla di islamismo e di fondamentalismo si dovrebbe aggiungere che questa intolleranza proviene sì da un mondo che non ha conosciuto l'epoca dei Lumi ma che tale situazione è anche generata dalla grande disparità tra chi domina e chi subisce, tra chi ha molto e chi troppo poco. In sostanza si è costituito in Europa un nuovo quarto stato formato prevalentemente da soggetti di questa cultura. La religione, vissuta in superfice, è la loro distinzione. Ma del resto non dimentichiamo che anche in nome della Dea Ragione si è ammazzato molto. E' l'assolutismo dogmatico che è di per se intollerante, di qualunque natura esso sia, condito con la superficialità di un pensiero dicotomico e paranoico fomentato dalle ingiustizie sociali. L'illuminista Voltaire affermava nel suo saggio sulla tolleranza: "Siamo abbastanza religiosi per odiare e perseguitare ma non lo siamo abbastanza per amare e soccorrere". L'esortazione del mio post precedente su una maggior religiosità per la pace era in questo senso. Ecco perchè credo che a Milano la Moschea debba essere costruita e che debba essere la più bella possibile a dimostrazione della attenzione e del rispetto che ogni religiosità merita anche se si manifesta in un credo che appartiene, in Europa, alle nuove povertà, la ricerca della bellezza si sa è anche un antidoto all'amore per la guerra. Per questo ritengo che la manifestazione di Parigi con questa esibizione di capi di stato sia stata inutile e forse dannosa, perchè il messaggio presuppone un destinatario che in questo caso non è chiaro, quando si annida nelle ingiustizie della nostra stessa società.
Non si possono passare sotto silenzio i fatti di Parigi e anche noi abbiamo fatto le nostre considerazioni in seguito anche al post del primo dell'anno. Dopo la massiccia manifestazione di solidarietà a Charlie Hebdo siamo tutti più sicuri che l'Occidente reagirà con la necessaria determinazione agli attacchi dei terroristi ma viene da chiedersi: il messaggio forte che ha rappresentato con l'aiuto dei media a chi era diretto? Se era diretto ai fondamentalisti credo che non li spaventi certo anzi ritengo che era quello che volevano, cioè dare il massimo di pubblicità al fatto di sangue che beninteso era una vendetta verso chi, in un certo senso, prendeva in giro la loro cultura, relegata in Francia come in Italia o in Germania alle periferie e quindi a uno stato di subalternità. In queste condizioni sociali, in cui chi si sente escluso guarda con rabbia e disperazione gli inclusi, senza speranza del proprio riscatto, dove la forbice tra chi ha troppo e chi non ha a sufficienza non sembra diminuire, la religione diventa il manifesto della propria identità che non può essere messa in discussione nè tanto meno farne oggetto di satira perchè ciò diventa profanazione. L'etimologia del termine ci aiuta a comprendere: profano significa fuori dal tempio dove vive la dimensione del sacro, come realtà profonda, atemporale. Quel nocciolo di verità che è in noi e che non subisce gli influssi del tempo profano. Una volta anche da noi esisteva un proverbio che recitava: "Scherza coi fanti e lascia stare i santi", ed il motivo era ben questo, i diseredati alla fine non hanno che la loro identità religiosa e considerano oltremodo svilente fare dell'ironia sul loro credo. In una situazione di disagio sociale e di ignoranza ci si ammazza anche per il tifo sportivo figuriamoci per una fede. Del resto l'Islamismo quando gli arabi erano conquistatori e quindi dominavano da noi in Sicilia o in Spagna era molto tollerante, molto più che le varie sette cristiane tra di loro che uccidevano e torturavano per questioni dottrinarie. L'Islam era allora la religione dei dominatori e poteva permettersi la tolleranza anche perchè nessuno si permetteva di fare dell'ironia. Quando si è ridotto alle popolazioni più povere dominate dal colonialismo occidentale è diventato intollerante proprio per le ragioni esposte sopra. Quindi a parer mio non si tratta di guerra di religioni ma di conflitto tra chi non ha e chi ha troppo, tra il sud e il nord del mondo, tra le periferie e i centri decisionali. La religione, in questo caso come in altri, è la divisa di appartenenza in un pensiero dualistico tipico tra l'altro della nostra cultura, o incultura, del cosidetto benessere e della competizione permanente. Nel mondo globalizzato dunque è il dio denaro ed il potere connesso che provoca questi conflitti. Oltretutto oggi si è aggiunta la tecnica che si è asservita al nuovo capitalismo di cui subiamo le scelte per ridurci consumatori passivi anzicchè cittadini democratoci. Quando dunque si parla di islamismo e di fondamentalismo si dovrebbe aggiungere che questa intolleranza proviene sì da un mondo che non ha conosciuto l'epoca dei Lumi ma che tale situazione è anche generata dalla grande disparità tra chi domina e chi subisce, tra chi ha molto e chi troppo poco. In sostanza si è costituito in Europa un nuovo quarto stato formato prevalentemente da soggetti di questa cultura. La religione, vissuta in superfice, è la loro distinzione. Ma del resto non dimentichiamo che anche in nome della Dea Ragione si è ammazzato molto. E' l'assolutismo dogmatico che è di per se intollerante, di qualunque natura esso sia, condito con la superficialità di un pensiero dicotomico e paranoico fomentato dalle ingiustizie sociali. L'illuminista Voltaire affermava nel suo saggio sulla tolleranza: "Siamo abbastanza religiosi per odiare e perseguitare ma non lo siamo abbastanza per amare e soccorrere". L'esortazione del mio post precedente su una maggior religiosità per la pace era in questo senso. Ecco perchè credo che a Milano la Moschea debba essere costruita e che debba essere la più bella possibile a dimostrazione della attenzione e del rispetto che ogni religiosità merita anche se si manifesta in un credo che appartiene, in Europa, alle nuove povertà, la ricerca della bellezza si sa è anche un antidoto all'amore per la guerra. Per questo ritengo che la manifestazione di Parigi con questa esibizione di capi di stato sia stata inutile e forse dannosa, perchè il messaggio presuppone un destinatario che in questo caso non è chiaro, quando si annida nelle ingiustizie della nostra stessa società.
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giovedì 1 gennaio 2015
Primo dell'anno 2015
Omaggio alla rosa, acquarello su carta 40x60
Il primo dell’anno é
dedicato alla Pace e ogni volta siamo
qui a riflettere sul significato di questa ricorrenza e cosa voglia dire, nel profondo, questa parola. E’ sempre ambigua
questa aspirazione alla pace in un mondo
che intanto prospera grazie alle guerre. Duemila anni di cristianesimo non hanno
risolto il problema delle continue guerre che insanguinano, di volta in volta ,ora
un paese ora un altro. Adesso è la volta
dell’Ucraina ma non dimentichiamo il
Medio Oriente e i paesi africani. Quando una questione diventa importante per
l’opinione pubblica di una nazione subito si trova qualcuno disposto a uccidere
e a sacrificare la vita per quella causa, anche se magari, passato un po’ di
tempo, questa viene superata dai fatti e la gente non la tiene più in nessuna
considerazione. Prendiamo ad esempio le guerre fra cattolici e protestanti nel
seicento europeo : per circa trent’anni non si poteva sopportare che
qualcuno professasse una dottrina diversa, alla fine non importava più niente a nessuno ma intanto un
sacco di gente era stata uccisa. Bisogna sempre trovare un nemico su cui
scaricare le colpe del nostro malessere esistenziale e delle ingiustizie
sociali. Sembra che noi amiamo la guerra
perché ci impedisce di guardarci dentro e di vedere il nostro lato ombra.
Hillmann, come dicevo nei post precedenti sull’argomento, ha scritto un libro
dal titolo significativo : Un terribile amore per la guerra. Le
motivazioni dunque sono spesso, palesi o nascoste, di natura religiosa, anche
perchè chi va in guerra e rischia la vita ritiene sempre di avere Dio o gli dei
dalla sua parte, le ragioni economiche spesso sono una scusa per giustificare la ferocia di una guerra. Ma allora che fare ? E’ inevitabile
questo precipitare nel pensiero dualistico amico-nemico ? A parer mio no ma cio’richiede un notevole
sforzo di educazione all’umiltà, alla pazienza, alla tolleranza e alla
comprensione che oggi, primo dell’anno dedicato dalla Chiesa alla Madre di
Gesù, ci ricordano che sono virtù femminili dimenticate dalla nostra cultura
sia pur detta cristiana e pur anche a volte dagli stessi movimenti femministi.
Allora si capirà che la violenza è stupidità e ignoranza ed essendo la causa di
natura religiosa con un processo omeopatico si dovranno usare le religioni per
guarire. La marcia per la Pace di Assisi, la città del Santo più olistico,
ecumenico ed evangelico insieme, dimostra quanto affermo. Riflettendo sull’
attualità del messaggio francescano e leggendo che, da quando il Papa ha preso il
nome del Santo Poverello, Assisi assiste ad un notevole incremento del turismo
religioso viene da chiedersi come mai in duemila anni certi passaggi dei
Vangeli sono stati trascurati dalla Chiesa fomentatrice nei secoli passati di
guerre terribili . Si afferma che il cristianesimo sia la religione
dell’amore ma quale esegesi dei Vangeli ha permesso la tortura, le persecuzioni, i delitti e le guerre ? In
nome di quale amore ? Francesco è una figura anomala o è la più corretta
corrispondenza tra la Parola e l’azione ? Ogni grande spiritualità insegna
il distacco dai beni materiali, dal potere, dalla fama e dagli onori. Vuoi vedere che è
proprio per evitare le guerre fratricide ? Quando il cristiano ascolta il
messaggio del suo fondatore , « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non
come la dà il mondo, io la do a voi » (Giovanni 14/27)
comprende che questa condizione di pace è una totale rinuncia al
proprio Ego e quindi alle ragioni della guerra e un abbandonarsi
alla bellezza della vita ?
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