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martedì 24 novembre 2015

Periferie


                                      Olio su tela, Nevicata in periferia

  La cosidetta rigenerazione urbana, termine  diventato di moda  tra gli urbanisti o presunti tali,  passa principalmente attraverso il risanamento delle periferie ma questa operazione non è facile. Si tratta di agire, attraverso interventi, sia sulla popolazione sia sul costruito che possono durare anche degli anni se non decenni. Poichè le amministrazioni comunali hanno una durata di cinque anni e spesso le azioni non sono eclatanti,  non sono cioè da esibire per le elezioni, il più delle volte quindi vengono trascurate quelle opere che sovente sono invisibili ma che danno l’avvio ad un processo di recupero. Invertire il degrado non è operazione da poco ma in alcuni casi bastano pochi e semplici interventi  che debbono pero' durare nel tempo dando la sensazione di una cura che prosegue.  A volte invece necessita intervenire drasticamente con l’abbattimento di interi edifici o quartieri irrecuperabili che determinano intorno malessere e trascuratezza, dove ad esempio vi sono situazioni malavitose.  Quello che urge prima di tutto è una conoscenza approfondita della situazione che metta in evidenza le cause del degrado e le potenzialità del sito.  Occorre fissare parametri, fare interviste e viverci  per sapere il livello di squallore della vita abitativa e senza la partecipazione degli  abitanti non è possibile recuperare alcunchè.  Le periferie sono una conseguenza della rivoluzione industriale, prima non esistevano: vi erano case per poveri e per ricchi mescolate dentro le mura cittadine, magari certi quartieri erano malfamati ma non erano rifiutati. Con l’avvento dell’industria si destinano aree esterne per gli operai inurbati dalla campagna e di conseguenza l’idea della periferia come zona di grado inferiore, di serie B rispetto al resto di città, nasce da li’. Oggi non è cambiato nulla, salvo le norme igieniche, ed ammassandosi più della metà della popolazione mondiale nelle aree urbane le periferie si sono estese a macchia d’olio e sono piene di cosidetti non luoghi. La loro integrazione è fondamentale per il benessere cittadino.  Per invertire il processo di degrado è necessario guardare il contesto periferico come un insieme di relazioni tra gli abitanti e tra questi e gli edifici. I ghetti nascono dove una parte viene abitata solo da soggetti ritenuti il rifiuto della società. Per risanare non serve inserire funzioni nobili, quali un teatro o un’ università, quando i residenti non sono coinvolti. Ogni intervento deve essere finalizzato  a servire chi abita e non a pompare popolazione dall’esterno  solo per alcune ore della giornata o giorni della settimana. Bisogna aprire ai bisogni primari degli abitanti e questo consiste in una casa decente in un contesto sano e vitale che si manifesta anche nelle piccole cose come l’arredo urbano, i giardini fioriti, orti di prossimità, negozi di vari generi,  non solo centri commerciali, biblioteche e librerie, sale riunioni , centri sanitari , sociali, religiosi ecc. La popolazione dovrebbe essere composta da diverse classi di cui la media prevalente, incentivata da un buon housing sociale. Gli interventi pubblici per i meno abbienti devono essere  dimensionati sul contesto e non essere accorpati e incombenti. Dove saranno necessari abbattimenti si creeranno giardini o verde coltivato. La  natura ha un ruolo fondamentale nel processo di inversione del degrado perchè necessita cura e il fatto contribuisce a generare la sensazione di avere un potere amico che si prende a cuore il benessere dei cittadini, e gli alberi ben curati ne sono la prova. E’ essenziale recuperare la sacralità del territorio e della vita su di esso. Poichè le periferie non hanno un passato dovrebbe essere valorizzato ogni cimelio e ogni rudere o reperto antico atto a ripercorrere la storia del luogo  al fine che l’abitante si senta di far parte di un substrato vitale con una sua dignità nel quale si sente inserito. Il sentimento dell’ appartenenza è fondamentale per evitare fenomeni di alienazione e di estraneamento generatori di disagi psicoemotivi. La bellezza, rispetto per la vita, la si deve recuperare nelle piccole dimensioni e nei cicli stagionali, quindi fiori e frutti saranno il nuovo skayline delle periferie.


3 commenti:

  1. Condivido pienamente il tuo pensiero, Maurizio. La tua analisi si potrebbe anche applicare alla Pigna di Sanremo, che è diventata una "centriferia" ovvero un ghetto degradato inserito nel pieno centro della città.

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  2. Hai ragione Renato la periferizzazione, come rifiuto o trascuratezza dii alcune parti, é un fenomeno presente in ogni area urbana non ben integrata e questo fatto è caratteristico della maggior parte delle conurbazioni frutto della speculazione edilizia anni 60,70 e 80. In Liguria poi con il fenomeno delle seconde case si ha un' aggiunta di non luoghi nel senso che alcuni quartieri sono vuoti in certe stagioni e altri per motivi di altro genere, come appunto la Pigna, diventano dei ghetti.e vengono lasciati tali per trascuratezza delle amministrazioni e per opportunità politica, come accennavo nel mio post. Il problema è che queste zone non integrate espandono tutto intorno il loro influsso negativo e dove si potrebbe avere storia cultura e bellezza invece si ha fatscenza e segregazione.

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  3. A proposito di periferia e di banlieu, in un'analisi economicistica della storia (rectius: dell'aneddotica, non sono (solo) hegeliano), si potrebbe dire che la civiltà musulmana conosca da qualche decennio un nuovo suo rinascimento, almeno da Komeini in avanti.
    E in effetti il petrolio arabo ci ha consentito sinora di alimentare i nostri sofisticati mezzi di trasporto individuali e collettivi su due ruote su quattro ruote, su due ali su quattro ali.
    Si potrebbe anche tirare in ballo la nemesi storica, altra categoria hegeliana, quello che ho già chiamato il "giustificazionismo", il reale è razionale, ciò che è doveva essere.
    Ma anche questo non mi soddisfa, di fronte all'odio per la vita, di fronte alla morte, di fronte all'amore per la morte, in nome di una improbabile palingenesi ultraterrena.
    Si potrebbe anche pensare all'internazionalismo proletario, e chiederci come mai gran parte degli arabi si acconcino a tollerare l'opulenza dei capi al cospetto della loro miseria.
    Palingenesi ultraterrena- dicevo - che poi non è molto distante dalla nostra cultura cristiano-occidentale, con l'uomo-dio finito crocefisso, e con lo stigma appunto della crocefissione che ci accompagna e ci cicatrizza fin dalla nascita.
    Si potrebbe anche parlare di banlieu, e rammentare che da noi non esistono, vai in Via Padova e te ne convinci, in Via Padova dove ho un ottimo sarto del Bangladesh, che raccomando.
    Come europeo, sono fermamente convinto che la nostra civiltà sia e debba essere ostinatamente cristiana, in un afflato né (solo) mistico o liturgico quanto piuttosto - parlo per me - "contrattuale", un bel contratto con domineddò le cui clausole vanno negoziate si di un piano di totale libertà e pariteticità (che sono la stessa cosa).
    Chissamai che un tal modo di vedere le cose non induca gli essere umani a più miti (nel senso etimologico: dolcezza e moderazione) consigli.

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