La
bellezza è nella natura e noi impariamo ad apprezzarla fin dalla più tenera
età. Il 900 ci ha alienati della sua presenza nelle cose e della nostra
capacità di coglierla. E’ diventata un orpello e un lusso per pochi. Dobbiamo
quindi riconquistare la nostra sensibilità sapendo che non ci è data
gratuitamente ma è il frutto di un lavoro di approfondimento. Per quanto
riguarda le opere dell’uomo la bellezza è il prodotto di un atteggiamento di
cura, attenzione e amore per il proprio lavoro. Ecco perché l’Istituto Uomo e
Ambiente, da sempre presente sui temi dell’ecologia e dell’estetica ha voluto
organizzare questo corso on-line per chi vuole approfondire la tematica,
soprattutto gli architetti che sono delegati a trasformare l’ambiente ma anche
ogni persona intelligente.
Il corso è diviso in cinque giornate: la prima è dedicata
alla filosofia perché è dalle opinioni generate da essa che provengono le
scelte in campo estetico. La seconda è sulla natura con esperti che la studiano
e la utilizzano con creatività. La terza verte sul paesaggio e sull’arte poiché
anche quest’ultima nel secolo scorso ha deragliato dalla sua finalità naturale,
cioè la bellezza. La quarta è dedicata
all’architettura ed infine l’ultima è sulla pratica e cioè come tradurre in
azioni l’importante bisogno sociale di equilibrio, ordine, eleganza e coerenza
che sono i principali attributi della bellezza.
La pandemia ci ha portati verso
nuovi stili di vita, fra questi anche quello della vacanza che, nelle diverse
stagioni dell’anno, ha preso un nuovo passo. Si rivalutano luoghi a portata di
regione o addirittura di provincia e in questo la Lombardia apre il suo copioso
patrimonio ricordando le vacanze nelle ville di delizia dove la nobiltà e la
borghesia milanese vi accedeva trasportata dall’andare lento delle carrozze.
L’Italia ha una lunga tradizione di senso della vicinanza e della collettività
ristretta. La pandemia ha accelerato un processo già in corso, il desiderio
diffuso di decentrarsi verso zone rurali, collinari o periferiche ed anche ora
che è autunno si programmano evasioni lampo in luoghi a portata di memoria che
non sapevamo neppure di avere. Non si parte più in carrozza, ma in bici, in
tandem, in macchine elettriche o in treno per scoprire quanto possa essere
affascinante il foliage che adorna ville storiche comeVilla Arconati a Bollate definita la
“Versailles” d’Italia grazie al gusto tipicamente barocco con giardini
all’italiana elegantemente curati e con giochi d’acqua.
Le Ville di Delizia, nome coniato
dall’incisore settecentesco Marc’Antonio dal Re, trovarono una sviluppo
organico specie in Brianza il cui territorio nel settecento ne ha vissuto la
grande stagione. Una magnificenza di architetture di giardini commissionati
dalle grandi famiglie nobiliari dell’epoca fra cui i Borromeo, i Durini, i
Trivulzio, gli Arese, i Taverna, i Morando. Sono residenze monumentali con
vasti parchi e ricche di opere d’arte. Derivano queste loro caratteristiche
peculiari dal fatto di essere state concepite come residenze di campagna in cui
i nobili si ritiravano nei periodi di villeggiatura, dedicandosi allo svago e
diletto nel pieno godimento della natura, della conversazione cortese,
dell’arte, della musica, della poesia all’insegna della raffinatezza e del buon
gusto. Spesso costituivano la residenza di rappresentanza del casato a cui
appartenevano e di cui erano destinate a narrare gesta e fasti. Nel
Rinascimento, in un periodo di generale benessere, nacque il fenomeno della
villeggiatura inteso come periodo da dedicare al riposo preferibilmente in località
esterne alla città, lungo i fiumi e in zone collinari che offrisse un ambiente
salubre e una presenza umana estremamente ridotta. La scelta ricadeva in modo
particolare sulle zone bagnate dal Naviglio Grande e dalla Martesana, in una
zona che da Milano si espandeva verso il Varesotto guardando verso il lago
maggiore e verso il lago di Como. Tuttavia oggi altri esempi ci giungono più a
nord con villa Monastero a Varenna, sul lato lecchese del lago di Como o villa
Bertarelli a Galbiate, poco distante da Lecco. Omate di Agrate Brianza ospita
un gioiello senza tempo dell’architettura lombarda, Villa Trivulzio. Costruita
nel sedicesimo secolo per i principi Trivulzio fu per lungo tempo una dimora
prestigiosa e frequentata dalla crème della società europea e le sue delizie
architettoniche furono anche narrate da Montesqieu nel 1728.
Le Ville di delizia, così chiamate
da anni, sono una delle cose più affascinanti di Monza e di tutta la Brianza.
Quanto è bello passeggiare, a piedi o in bicicletta, osservando le
meravigliose ville di delizia che popolano il Parco e la città?
Ma cosa sono le ville di delizia?
Il loro mito nacque grazie ad un trattato di Bartolomeo Taegio del 1559
che rese le ville di delizia uno status symbol della nobilta’
milanese e brianzola.
Sono delle residenze suburbane, lontane dalla città, nelle quali i
nobili abitavano nei periodi di villeggiatura, soprattutto nel tratto fra i
Navigli e verso la Brianza.
I nobili milanesi si allontanarono dalla metropoli a causa delle varie
epidemie causate dalle carenze igieniche, dell’edilizia degradata e dall’inurbamento
dalle campagne. E dove fuggire se non verso Monza ed i territori brianzoli?
La Brianza divenne
così un paesaggio da paradiso campestre, grazie anche al clima più mite rispetto a Milano: ai tempi si vedevano
continuamente carrozze di cavalli che andavano e venivano, artisti e celebrità
ospiti da tutte le parti d’Europa.
Ci si ispirava alla vita campestre, all’amore per il bucolico tipico dei
grandi poeti classici come Ovidio e Virgilio, ma anche dei grandi classici
italiani come Petrarca, o rinascimentali, come Pico della Mirandola.
Nel trattato di Bartolomeo Taegio c’era un lungo esempio di ville di
delizia che ancora oggi possiamo visitare ed ammirare: il conte Taverna, cancelliere del Re di
Spagna, aveva la sua villa di delizia in Canonica; il cardinale Carlo Borromeo scelse invece Arona come residenza di campagna; Antonello
Arcimboldi ne costrui’ una sulla via che
collegava Milano a Monza; Donna Violante Sforza la volle sul lago di Como a Bellaggio.
Anche gli ecclesiastici si interessarono al mito delle ville di delizia,
infatti il Cardinale Federigo Borromeo scrisse un trattatello dove invitava gli
uomini di Chiesa ad un uso moderato delle residenze, per non lasciarsi troppo
andare alla ricerca del piacere. Il cardinale sosteneva che a quel tempo il
popolo viveva un momento difficile a causa della miseria e delle malattie,
quindi non si doveva dare il cattivo esempio, anche se comunque la vita a
contatto con la natura era ben voluta da Dio.
Le ville di delizia, oltre ad essere residenze di villeggiatura, furono
anche teatri di grandi feste, balli, battute di caccia, sedi di grandi
raccolte d’arte e salotti letterari, tipici svaghi
dell’aristocrazia milanese.
A Monza la prima grande villa di delizia fu
quella di Mirabello, voluta dai Signori di Monza, i conti Durini, o meglio, da Giuseppe
Durini.
Egli scelse un’area a nord est del centro abitato, lungo il Lambro, zona
favorevole per il clima, per la caccia, l’equitazione e le passeggiate nei
campi.
I lavori furono diretti dal famoso architetto Gerolamo Quadrio che aveva
già lavorato per il Duomo di Milano e quello di Como: egli scelse di costruire
una villa a pianta a U con un corpo centrale dotato di portici e ali
simmetriche laterali, tipiche delle residenze lombarde.
La villa venne chiamata Mirabello, ovvero belvedere, perchè si affacciava su
un terrezzamento sopra il Lambro da cui si godeva di una bellissima vista.
Ora nella Villa Mirabello vengono spesso organizzati mostre ed eventi,
che danno la possibilità di ammirare la sua grande bellezza.
Non dimenticate che c’è sempre la possibilità in Brianza di visitare le
varie ville di delizia, per potersi così immergere in un piccolo mondo antico,
fatto di dame e nobili, di balli sfarzosi, di magnifiche carrozze, di intrighi,
di amori lontani e di cultura…tutto arricchito da una magnifica vita
campestre…non sarebbe un po’ il sogno di tutti noi?
Villa Camperio a Villasanta, Villa
Trivulzio ad Agrate Brianza, Villa Sottocasa a Vimercate, Villa Cusani Tittoni
Traversi a Desio, Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno... Sono solo alcune
delle splendide Ville di Delizia che potrai scoprire girando in bici per la
Brianza monzese. Pronto a partire?
Le
ville brianzole sono definite di “delizia” perché le antiche famiglie
aristocratiche, proprietarie di queste terre, vi trascorrevano il loro tempo
per oziare e godersi una bucolica serenità lontano dalla città. Se vuoi
scoprire le più belle Ville di Delizia della Brianza monzese, puoi scegliere di
farlo in bici, seguendo il percorso che parte da Villasanta, alle porte di
Monza, e arriva a Cesano Maderno, nel Parco delle Groane. Il tracciato, adatto
a tutti, si sviluppa per 41.8 km su asfalto e sterrato, con un dislivello positivo
di 273m e negativo di 247m (pendenza max: 6.1%, -7.6%; pendio medio: 0.9%,
-0.8%). La durata? Circa 4 ore.
ITINERARIO
Da
Villa Camperio a Villasanta, punto di partenza del percorso, procedi su strada
fino al centro di Concorezzo. Dal retro del Municipio segui via Volta,
direzione Agrate. Passato il centro vai verso Omate proseguendo per il centro
di Burago. Da via Villa ti immetti su una strada serrata e passati i campi e un
parco arrivi nel centro di Vimercate. Continua in direzione di Oreno, lascia la
piazza e arrivi alla villa. Costeggia il parco in direzione di Arcore.
Dall’abitato raggiungia la SP 7 e prendi per Peregallo. Immettiti nel percorso
del Parco Lambro sino al centro di Albiate e prosegui fino a Seregno.
Attraversa la periferia di Desio e raggiungi il centro di Cesano Maderno.
L’itinerario si concluderà nel Parco delle Groane dove potrai immergerti nei
boschi e nelle brughiere che caratterizzavano in antichità l’intero territorio
brianzolo.
PUNTI
DI INTERESSE
Villa
Camperio di Villasanta
Oggi sede della biblioteca civica fu costruita a fine ‘600 e dotata di un
grande parco.
Info utili: Biblioteca Civica di Villasanta
Telefono: 039.23754258
Geolocalizzazione su mappa: 45.6044, 9.30009
Villa
Trivulzio ad Agrate Brianza
L’edificio, proprietà dei principi Trivulzio già dal ‘500, nel ‘700 venne
trasformata in villa di delizia. A fine ‘800 il complesso fu rimaneggiato
dall’architetto Majnoni e nel 2000 restauri ed interventi furono finalizzati al
ripristino del monumentale giardino all’italiana e del parco.
Info utili: http://www.villatrivulzio.it/
Geolocalizzazione su mappa: 45.57921, 9.37762
Villa
Mylius Oggioni a Burago di Molgora
La villa, edificata nel ‘700 in stile neoclassico, fu acquistata nel secolo
successivo da Enrico Myilius (1769-1854), ricco uomo d’affari, mecenate e
filantropo, di origini germaniche.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-01342/
Geolocalizzazione su mappa: 45.59473, 9.37961
Villa
Sottocasa a Vimercate
L’edificio tardo settecentesco è una rivisitazione neoclassica della villa di
delizia rinascimentale. Il prospetto principale, sobrio e severo, si distingue
dalla facciata posteriore più decorativa.
Info utili: Telefono: 0396659488
E-mail: turismo@comune.vimercate.mb.it
Geolocalizzazione su mappa: 45.61231, 9.3705
Villa
Gallarati Scotti Vimercate (frazione Oreno)
Il monumentale complesso barocco venne profondamente trasformato con forme
neoclassiche tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 dall’architetto Cantoni.
La villa di delizia è caratterizzata da un parco monumentale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/villa-gallarati-scotti
Geolocalizzazione su mappa: 45.61738, 9.35432
Casino
di Caccia Borromeo a Vimercate
L’edificio, appartenuto ai Borromeo dal XVII sec., è caratterizzato da muri
realizzati con ciottoli posti a spina di pesce divisi da filari di mattoni.
All’interno vi sono affreschi datati al 1460 in stile gotico internazionale.
Info utili: http://www.museomust.it/drupal/itinerari/luoghi/casino-di-caccia-borromeo
Telefono: 0396659488
E-mail:turismo@comune.vimercate.mb.it
Geolocalizzazione su mappa: 45.6179, 9.35334
Villa
Borromeo d’Adda ad Arcore
Posizionata su un’altura, la villa di delizia è articolata in tre blocchi ed è
datata alla metà del ‘700. Nella porzione centrale sono conservati gli ambienti
di maggiore pregio e ampiezza tra cui l’antica libreria. Nel parco è presente
un giardino all’italiana e la scuderia.
Info utili: http://www.villaborromeoarcore.it/
Geolocalizzazione su mappa: 45.62675, 9.32146
Villa
Taverna a Triguggio (frazione Canonica)
Il nucleo originario del complesso, un castelliere risalente al tardo
cinquecento, venne trasformato in palazzo nel’700. L’area è decorata da statue
roccocò e sul retro spicca un bel giardino all’italiana di gusto
rinascimentale.
Info utili: http://www.villataverna-canonica.it/
Telefono: 334 1656 718; E-mail: info@villataverna-canonica.it
Geolocalizzazione su mappa: 45.64857, 9.28246
Villa
Cusani Tittoni Traversi a Desio
L’edificio conserva il tipico impianto a U delle ville di delizia del’700 ed è
caratterizzato all’interno dell’abitato da decorazioni in stile eclettico. Nel
corso dell’800 il complesso fu ristrutturato dall’architetto Palagi.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02959/
Telefono: 0362 392240
Geolocalizzazione su mappa: 45.61794, 9.21494
Palazzo Arese Borromeo a
Cesano Maderno
Nel ‘600 la preesistente costruzione medievale fu trasformata in una villa di
delizia riccamente impreziosita da stupende opere d’arte. Il cortile centrale è
caratterizzato da una loggia alla genovese affacciata sul parco.
Info utili: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MI100-02219/
Geolocalizzazione su mappa: 45.62842, 9.14721
Caro Federico te ne sei andato cosi inaspettatamente dopo
che ci siamo sentiti al telefono in questo periodo di coronavirus che ci ha
costretti in casa. Erano ormai anni che seguivamo, Gabriella ed io, le tue
vicende di salute e contavamo che tu ormai ti fossi acclimatato con la tua
patologia, l’avessi in qualche modo compresa e accettata e dunque ci convivessi
bene per chissà quanti anni ancora e magari interpretandone il messaggio la
superassi. Non è stato cosi e un po’ di rabbia, debbo ammettere, questa tua
dipartita me l’ha lasciata. L’ultimo tuo commento al mio articolo, Coronavirus,
sul blog è finito con un accenno pessimistico a un Dio che ce l’ha con l’uomo
quindi nonostante la tua dichiarazione sorprendente di essere cattolico
cristiano, che non mi sarei aspettato, la tua divinità appartiene alla
tradizione dell’antico testamento o addirittura alla antica Grecia, il tuo
riferimento a Nietzsche lo attesta. Lui diceva che quel Dio era morto ma non
trovandone un altro è impazzito. Tu invece lo hai risuscitato nei panni del
punitore che manda le pandemie a una società corrotta, come a Sodoma e Gomorra.
Immagino che ora, dovunque tu sia, avrai svelato il mistero per cui ritengo
ininfluente che ti parli della mia concezione della trascendenzama questo fa bene a me e quindi proseguo. Il
Nuovo Testamento, nonostante tutto, è un messaggio di amore che richiede
molteplici interpretazioni, la più accreditata è che Dio è amore e dunque si
veste della carne umana per indicare la strada della creatività e della vita
non quella della morte. Infatti, benchè ucciso dalla diffidenza, dalla paura e
dalla stupidità del Potere, risorge.Già
prima di Cristo i filosofi avevano detto che l’amore crea e l’odio distrugge,
Empedocle ad esempio, dunque è conseguente pensare che il Creatore non può che
essere creativo e quindi amante. Ne deriva che quando in te alberga l’amore,
sia verso te stesso che gli altri, sei simile a Dio ma, come affermano i
buddisti, in noi albergano, non so perché,i semi di tutti i sentimenti, negativi e positivi, dunque dobbiamo
allenarci a sostenere quelli che ci fanno bene e lasciare inerti quelli che ci
danneggiano. Il messaggio cristiano può essere letto anche cosi: una strada per
star bene, in fin dei conti le Beatitudini sono questo. Del resto lo stesso
pagano Aristotele scriveva nell’Etica Nicomachea che le virtù sono per il bello
e quindi per la felicità. La psicoanalisi in tempi moderni ci ha abituati a
guardarci dentro e a scoprire l’inconscio, pieno di quelle cose che non ci
piacciono, cioè rabbia, paura, desiderio e cosi via, perché l’educazione ci ha
abituati a rimuoverle e con quello dobbiamo confrontarci. Quindi l’inconscio
collettivo della nostra società ipocrita e superficiale è una sorta di
ripostiglio dove stazionano le nostre forze distruttive che se non vengono
affrontate ci danneggiano, vedi la pandemia o la malattia. Il corpo è un
insieme di energia e informazioni e cosi la natura, il nostro corpo più grande,
e se questi messaggi sonocattivi ne
risentiamo anche a livello fisico oltre che psichico naturalmente. Ma sotto
tutto questo vi è uno strato originario di gioia pura, il nostro retaggio
divino. Per questo i bambini sono allegri e vivaci, loro sono più vicini a
questo fondo di verità, del resto il Cristo non dice forse: lasciate che i
bimbi vengano a me? Perdiamo questo stupore infantile e questa gioia
fondamentale quando sviluppiamo per paura un ego diffidente che si attacca alle
illusioni di felicità. Infatti tutte le tradizioni di saggezza, quindi anche il
Vangelo, non dicono forse che bisogna abbandonare le illusioni, cioè Maia, per
essere felici e costoro non vengono chiamati risvegliati, a indicare che in
realtà ritroviamo quello che in realtà già siamo? La favola dei fratelli Grimm “La
fortuna di Gianni” è emblematica. Venendo
a noi tu che eri un letterato e che hai scritto molto inseguendo un assoluto
attraverso l’amore per una donna che non trovavi mai, influenzato molto dalla
cultura romantica, non ti sei accorto forse che il tuo miglior personaggio è
stato Napoleone, il barbone dei giardini Montanelli che nell’Isola di Serifo, proprio
perché niente possiede, conduce tutta la compagnia di frustrati alla famosa
nuova terra. Credo dunque che tu sia andatoa cercare quest’ isola e spero l’abbia trovata ed abbia saziato la
nostra dotta ignoranza anche perché come ben ricordi Marcel Proust diceva che
il vero viaggio di scoperta non è quello di cercare nuove terre ma avere
nuovi occhi. Ciao Fede.
Nella lettera ai verdi sul
clima che ho scrittoqualche mese fa e
che ha suscitato molto scalpore fra gli attivisti del movimento, con ventisei
commenti negativi e quattordici like, facevo una critica all'abuso della paura
dei cambiamenti climatici e soprattutto alla strumentalizzazione mediatica di
una adolescente di sedici anni, affermando che la terra è un sistema vivente ed
avrebbe trovato espedienti per ripristinare un equilibrio frantumato dall’
azione antropica predatoria dell’economia capitalista dopo la rivoluzione
industriale e che era necessario un nuovo umanesimo per superare il contrasto
uomo-natura di antica origine. Non immaginavo di essere profetico cosi a breve
termine e che questo espediente di riequilibrio si generasse cosi in fretta.
Infatti ritengo che la pandemia sia sostanzialmente una risposta della natura
alla rottura di questo equilibrio, una risposta alla mentalità meccanica e
rapace dell’economia di mercato e del conseguente consumismo spinto. Negli anni
ottanta definivamo la nostra civiltà occidentale la società del superfluo
cattivo, i nuovi paesi emergenti in questi anni per adeguarsi hanno, se
possibile, massimizzatoquesto spirito anti
ecologico e si sa che una massimizzazione dura in una struttura ad anello che
costituisce la caratteristica della mente umana, non chè della cultura e della
natura, trasforma un sistema ecologico che ottimizza tutti gli aspetti in
qualcosa che non funziona perché gli aspetti negativi non vengono più
compensati. Ora noi sappiamo che questa non è una mentalità di oggi, che questo
spirito di conquista e di sfruttamento è molto antico ma oggi è l’aggiunta
della tecnologia che ne ha fatto un potenziale distruttivo. Chi vuole
approfondire legga Verso una ecologia della mente di Gregory Bateson pubblicato
circa 40 anni fa. Ora a parer mio stiamo usando la stessa mentalità per
sconfiggere il virus massimizzando certi aspetti, come ad esempio l’isolamento,
la difesa, la disinfezione, la
sterilizzazione, le punizioni, l’ospedalizzazione coatta ecc. Come riprenderemo
a vivere normalmente quando nelle nostre menti si è inserito il germe della
diffidenza e della paura? Credo che in questo modo, passata la crisi, si dovrà
affrontare anche il problema della smilitarizzazione e del reinserimento dei
reduci come dopo una guerra. Ma questa non è una guerra e richiede invece
impegno a trasformare le storture che l’hanno generata ripristinando
l’equilibrio ma se non vi è la consapevolezza non ce ne è possibilità. Da anni
gli intellettuali più illuminati affermano che siamo al”punto di svolta”, negli
anni ottanta usci un libro del fisico americano Fritjof Capra con quel titolo ma
cosa è cambiato da allora? Nulla mi pare, se mai vi è stata un’accelerazione in
senso opposto di una economia interessata solo al profitto delle varie
multinazionali e una ulteriore spinta al consumismo. Credo dunque che passata
questa crisi si dovrà prendere in considerazione un nuova economia che accetti
l’ecologia umana,ecosofia, come guida
per migliorare e questo presuppone anche riscoprire la bellezza come fondamento
della natura che va rispettata. Ritengo che superata la pandemia ad esempio sia
necessarioche i vari stati sovrani
rivedano i bilanci con il ridimensionamento delle spese militari a favore della
sanità e della ricerca. Il fatto poi che il virus sia di origine animale pone
anche la questione dell’alimentazione valorizzando scelte vegetariane. Siamo al
punto che il dopo o si caratterizzerà come un periodo di solidarietà
internazionale, facilitato anche dalle nuove tecnologie comunicative, per
cambiare approccio alla vita o si cadrà in un difensivismo nazionalistico che
rafforzerà la mentalità dualistica ed aggressiva provocando nuovi espedienti.
Ho condiviso il video
di L’arte di guardare l’arte sulla Pietà di Michelangelo, quella che sta in S.
Pietro a Roma. Questo video ha avuto più di 150.000 visualizzazioni ed è stato
condiviso più di 100 volte. Credo che sia un segnale da non sottovalutare.
Hilmann affermava che il Novecento ha
effettuata una rimozione : il bisogno di bellezza. Sono d’accordo ma questo
concetto richiede sempre una ridefinizione ogni volta che se ne parla,
purtuttavia una scultura come questa, capace di emozionare e di condurre al
trascendente non ha bisogno di tante parole, parla da sola, è una meditazione
marmorea. Florenski, che non amava molto il rinascimento, affermava che vi sono
due modi di rapportarsi al mondo: quello contemplativo creativo e quello rapace
meccanico. In tutto il Novecento,
soprattutto la seconda metà, ha prevalso il secondo. Questo successo della
Pietà è la compensazione, esso ha due sorgenti intreriori alla nostra umanità.
La prima viene dalla natura di cui facciamo parte, siamo orientati alla ricerca
della bellezza come nocciolo di verità
che sta in noi di natura estetica e sacra. La seconda dalla religiosità che
anch’essa, essendo nella sua essenza una tendenza naturale all’armonia e all’unità, il latino religo da cui deriva significa lego insieme, ci porta a guardare la natura nel suo lato
benedetto, cioè creativo e unificante. Questo connubio dunque di arte, natura e
religiosità conduce al capolavoro ammirato da tutti. E’ vero che il Rinascimento, con il suo
Umanesimo, tende a dare più che altro una visione antropocentrica e
scenografica del mondo ma pur sempre denota attenzione e rispetto ad una Natura
Naturans concepita come creazione che continua a creare. Michelangelo per la
cultura dell’epoca è il punto di arrivo di una ricerca che parte dalla Grecia
per trovare nella natura il bello ideale. Quest’ultimo si realizza con la
venuta del Salvatore che condensa i tre attributi divini: bonum, verum et pulcrum. Non a caso
il nostro artista, faceva parte, soprattutto in gioventù, tempo al quale si fa
risalire la realizzazione di questa Pietà, del circolo neoplatonico fiorentino
fondato da Cosimo De Medici con i principali filosofi e artisti dell’epoca come
Poliziano, Pico della Mirandola, Botticelli, Lorenzo De Medici e altri. La
teoria neoplatonica, che andava bene
alla classe dirigente dell’epoca, da una
parte esaltava la natura nelle doti naturali del potente signore dall’altra
ne provocava un certo svilimento in quanto decretava che essa, benchè unico mezzo per il
raggiungimento del mondo delle idee, era intrisa di imperfezioni (accidenti)
che l’artista aveva il compito di cancellare. Questo idealismo faceva anche
della scienza, al suo sorgere, uno strumento per comprendere la bellezza del
creato rendendola funzionale a questa
ricerca. Comunque fu il Cattolicesimo innestato di pensiero greco a ispirare questo capolavoro e la convinzione
di poter raggiungere la bellezza universale. Si potrebbe dire che la
presenza in Italia di una tradizione
pagana che vedeva nella dea Venere il culmine della bellezza femminile permise
ai nostri artisti di trasferirla sulla madre di Cristo, Basti pensare a quanta
devozione riscuoteva la Madonna anche
dai massimi poeti Dante e Petrarca. Dunque questo naturalismo rinascimentale in
qualche misura fu sostenuto anche dalla presenza di questo elemento femminile
impresso nella teologia. Tutto cambio’
con la Riforma che lo annullo’ per concepire un’idea di Dio solo al maschile
che non aveva certo bisogno di arte ed
emozioni per svelarsi ma semmai di successi commerciali e militari. Questa scelta di genere anche a livello
spirituale porto’ al res cogitans e res extensa di cartesiana memoria che
completo’ la svalutazione della natura e diede l’avvio al suo sfruttamento. Si
potrebbe dire quindi che il culto della Madonna ha protetto il rispetto per la vita e il
naturalismo artistico permettendo la realizzazione di capolavori che ancora ci
emozionano. Questo per dire cosa, direte
voi. Per dire che oggi necessita una
nuova estetica che valorizzi più che mai la natura facendo tesoro anche della
nostra tradizione religiosa che è stata in grado di influenzare l’arte di artisti
eccelsi come Michelangelo. Un commentatore su Facebook mi ha messo come
commento alla Pietà: Meglio un albero. Rispondo che ho il massimo rispetto per
gli alberi e sono d’accordo sul fatto che l’albero sia un essere vivente ma la bellezza è figlia della creatività e quanto
a questo natura e arte sono sullo stesso piano, la prima perchè produce vita e
la seconda perchè ne fa intravedere il trascendente se sa interpretarla senza
allontanarsene presuntuosamente.
Vedo sui giornali che
a Milano si dibatte molto intorno alla destinazione a verde degli ex scali ferroviari ed anche di altre aree,
come se questa destinazione in se costituisca una panacea di tutti i mali della
città. Ecco cosa scrivevo a proposito dei parchi su L’altro architetto.
Il problema del verde
in città è annoso e si trascina dalla prima rivoluzione industriale. In genere
nella città europea i parchi centrali sono i giardini dei palazzi nobiliari di
un tempo, che sono diventati pubblici. All’esterno sono invece aree faticosamente
sottratte alla speculazione edilizia e attrezzate per il tempo libero. Ora, non
è detto che grandi aree verdi, a parte il benefico effetto sul clima urbano,
siano luoghi di delizie: occorre che prima di tutto vi sia una buona
sorveglianza, i quartieri che vi si affaccino non siano solo malfamati, e che
quindi il parco non diventi a sua volta un non-luogo, abbandonato in certe ore
del giorno. Esso va vissuto. Sarebbe meglio avere tanti piccoli giardini che
non grandi parchi che nessuno gode. I grandi parchi dovrebbero funzionare come
oasi del continuum costruito, dove chi vuole può avere la possibilità anche di
praticare l’agricoltura e coltivarsi un orto: allora si avrebbe una presenza
continua di persone che tornano alla natura per lavorare la terra come un
tempo, con una produzione di frutti che può costituire una risorsa. Del resto
anche il paesaggio agrario che circonda le aree urbane ha una sua nobiltà
storica, che dovrebbe essere difesa. Vivendo nelle città, spesso, ci
dimentichiamo che è dalla natura che scaturisce la vita, anche la nostra, e
quindi il sentimento legato alla bellezza, che ce la fa scoprire, si rivolge in
primis a lei, se accettiamo la definizione: bellezza uguale rispetto per la
vita. La natura quindi è bella in quanto, per dirla con i Greci, è
manifestazione di cosmos, ovvero dell’estetica dell’essere. Tuttavia in natura
vigono le differenze: ogni organismo e luogo hanno un loro potenziale
energetico relativo alla loro funzione nel sistema. Certi organismi noi li
vediamo brutti perché li togliamo dal loro contesto vitale e proiettiamo su di
loro le nostre parti poco gradevoli. Alla domanda se, allora, sia bella solo la
natura, si può rispondere che è bella la natura, ma è altrettanto bella la
produzione artistica in chiave ecologica. Ecco perché i giardini, i parchi e
gli alberi nelle città ingentiliscono e umanizzano panorami artificiali a volte
squallidi e costituiscono una componente estetica non indifferente nelle aree
abitative e lavorative. Da L'altro architetto . Giampiero Casagrande editore
Oggi si dice che non esiste uno stile.
Ma che cosa è uno stile ? Ecco la risposta tradizionale : lo
stile è l’espressione formale di una cultura. Gli ordini classici sono stili,
anzi il termine stesso si rifà alla colonna, ognuno di essi si riferisce alla
cultura di popolazioni greche che li hanno prodotti. L’ordine dorico è relativo
ai Dori, popolazione severa e frugale poco dedita alle sottigliezze e ai
sentimenti, non cosi gli ordini ionico e corinzio. Oggi non esiste più uno
stile perchè la cultura occidentale liberista ha dato via libera ad ogni espressione
provocatoria manipolata dai media che hanno una funzione totalmente diversa
rispetto alla fruizione contemplativa della bellezza. Cosi non esiste più una
forma riconosciuta che esprime il carattere della cultura dominante. Tutti possono produrre quello che
vogliono purchè abbia le caratteristiche che servono per stupire e far parlare i
mass- media. Il cosidetto stile
internazionale è fondamentalmente assenza di stile. E’ chiaro che la
provocazione reiterata finisce pêr diventare omologazione nella categoria del
brutto, inteso come superficiale e senza cura. La globalizzazione produce
identiche brutture nella banalità del fine, che non è più quello di aiutare a
vivere felicemente ma quello di comunicare magniloquente e si sa che grdare fa
male anche se a volte serve, ma se
gridano tutti alla fine si avrà un baccano infernale e non ci si intenderà
più. Come ci si puo’salvare ? A
parer mio recuperando il significato della bellezza che presuppone un rapporto
diverso con la natura dentro e fuori di noi e la riedificazione della promessa di felicità che è insita nella
ricerca di armonia fra uomo e ambiente. Un ritorno al regionalismo ? Non
propriamente, nel senso che in architettura si sono sempre succeduti periodi di
espansione e di contrazione. Oggi abbiamo
bisogno più di riflessione e di rispetto per la natura e il contesto
perchè vi è anche una revisione dell’idea di progresso che sta alla base della
cultura modernista. Va superata anche la dicotomia fra classico e
anticlassico : c’è bisogno di più modestia. I temi cambiano : alcuni
rimangono ma vengono trattati in modo nuovo, altri si aggiungono al repertorio
dell’architettura, le forme si liberano dalla dipendenza di stili passati, come
è giusto, ma spesso sono frutto di manie di grandezza senza nessun rispetto per
la cultura ed il contesto. La bellezza di un nuovo intervento infatti ha due
componenti : la cura e l’impegno di chi progetta a non violentare il tessuto esistente, sia pure rapportandosi
per contrasto, e la disponibilità della popolazione locale ad accettare il
nuovo. Quest’ultimo fatto è legato alla
dimensione e ai tempi. Un intervento che
stravolge in pochi anni il paesaggio consolidato
è vissuto come una violenza e una scarsa considerazione che lo fa apparire
brutto. Nel tempo questo giudizio puo’anche cambiare perchè i segni della vita
lo ricoprono di nobiltà e l’abitudine lo rende familiare. Ma se questo non
succede rimane un monumento senza senso e seza vita. Resta un non luogo dove si
realizzano i tre eccessi della modernità : eccesso di spazio, eccesso di
tempo ed eccesso di individualismo.
Tempo di vacanze, tempo di paesaggi inconsueti. Paesaggi rurali della nostra bella Italia sintesi armoniica di natura e cultura. Oggi il naturale risulta sempre bello perché natura primigenia in se, mentre l'artificiale qualche volta è bello ma spesso è brutto, contrariamente alla concezione greca, oggi spesso si vede l'intervento dell'uomo come deturpazione. D'altra parte in una situazione in cui lo sviluppo tecnologico ha messo l'uomo d'oggi nelle condizioni di avere la possibilità di distruggere completamente la vita, e quindi gli dà la responsabilità di mantenerla, il naturale appare come un ambiente artificialmente tenuto cosi, come memoria della natura primigenia e appare bello pur nelle contrastanti tendenze estetiche. Oggi si puo notare che non vi è contraddizione tra naturale e artificiale qualora l'uomo abbia interpretato le sue esigenze più profonde e non abbia dato libero sfogo alla sua distruttività. Il naturale autentico risulta anzi come prodotto di una scelta creativa dell'uomo che individua come necessario e bello lasciare le cose come stanno. La creatività dell'uomo sta nella selezione, nella cernita, nel riconoscere la superiorità delle forze creatrici della natura, nell'essere umile e scoprire che in determinate circostanze é meglio non intervenire. Il paesaggio storico agricolo é il risultato della modificazione del selvaggio mediante elementi naturali o meglio mediante elementi organici viventi. L'uomo nella trasformazione agricola tradizionale é stato guidato da preoccupazioni ben lontane da intenti estetici coscienti, pero nel paesaggio storico si nota un aspetto caratteristico delle attività umane: quando prevale la creatività, sia pure inconsapevole e determinata da necessità contingenti, si ha benessere psichico, cioé bellezza. L'attività agricola ha in effetti tradizionalmente costituito l'incontro creativo tra l'uomo e la natura: questa viene conosciuta e incanalata verso una maggiore capacità di vita, ecco perchè il mondo agricolo ha da sempre destato sensazioni di benessere. Nell'agricoltura tradizionale l'uomo ha si modificato l'ambiente naturale ma plasmandolo con le proprie mani nello sforzo umile e generoso di adattare il naturale ai bisogni fondamentali di vita. Spesso il paesaggio che ne deriva è il risultato di uno sforzo collettivo che inconsciamente è artistico, se per arte con Jung si intende la capacità di esprimere le forze primigenie del nostro inconscio collettivo che sono tensione tra l'istintuale e il trascendente, tra materia e spirito, tra profano e religioso, alla ricerca di nuove sintesi al fine di una esperienza del tutto.