Cerca nel blog

giovedì 2 febbraio 2017

L'artista oggi


Nell’antica Grecia l’artista aveva una funzione sociale, era colui in grado di rappresentare i miti fondativi ed era una figura sacra con il compito di unire la terra al cielo. Questa missione sciamanica era già presente negli anonimi artisti di Lescaux o di altre pitture rupestri  dell’età della pietra, quindi molto tempo prima della civiltà greca. E’ da supporre che questa capacità ierofanica sia all’origine della natura stessa dell’estro artistico in generale in qualsiasi cultura.L’artista o è un mistico o non è artista. Per Mircea Eliade, grande storico delle religioni che scrisse un ponderoso testo sullo sciamanesimo, lo sciamano nelle antiche tribù aveva una funzione fondamentale  che si concretizzava nella ricerca dell’albero sacro che univa la terra al cielo, l’axis mundi, che serviva a dare identità alla comunità perché la collegava ad un luogo sacro. Assume cosi una particolare importanza la forma come possiamo constatare anche oggi nel Feng Shui cinese, elaborata dottrina derivante dagli antichi sciamani, che si basa sulla forma dei luoghi. Il candidato a questo scopo veniva scelto fra i ragazzi della comunità per delle sue caratteristiche psicologiche che oggi gli psichiatri occidentali definirebbero segni di isteria. Doveva dunque avere una sensibilità superiore per stabilire contatti con il sovrannaturale.  L’ultraterreno, ovvero il mondo degli spiriti,  lo poteva  raggiungere grazie al suo particolare rapporto con la natura indagata con il suo terzo occhio, cioé la sua capacità intuitiva, simbolica e poetica. L’artista greco  si collocava sulla scia dello sciamanismo antico ed a maggior ragione il poeta che poi era all’origine un cantastorie che narrava delle origini del mondo. Lungo l’arco della storia l’artista é sempre stato ammirato e riverito proprio per queste sue ascendenze.Attraverso le forme della natura risaliva allo spirito universale. E’di conseguenza sempre stato un personaggio importante molto spesso invidiato ed emulato. Ma finché la sua arte si confrontava con la capacità di trattare la materia sua propria, il pittore i colori, lo scultore il marmo o il bronzo, il poeta la parola e la scrittura, il musico le note, era impossibile a un mistificatore spacciarsi per artista. Di questi ve ne erano di mediocri o di più bravi ma era difficile che uno qualunque dichiarasse di essere un artista quando non lo fosse per davvero. A livello psicologico un vero artista é sempre stato, se vogliamo, un boderline vicino al folle, Ronald Laing infatti affermava che ambedue sono immersi nel mare dell’essere ma mentre il folle affoga l’artista mistico sa nuotare. Pavel Floreskij invece diceva che sia l’uno che l’altro salgono al mondo ultraterreno ma il primo sale presuntuoso con le sue credenze e ne ridiscende con i suoi fantasmi credendosi un ispirato mentre il secondo vi sale con umiltà e ne ridiscende con verità ineffabili. In epoca moderna quando la funzione sociale dell’artista si é annullata  nel mercato, dopo il periodo romantico che ha esasperato le emozioni forti e si é perduto l’aggancio con la natura e la tradizione rinunciando ad aspirare alla bellezza, ogni psicopatico è diventato un artista e un mercato pervertito ne ha esaltata la produzione di oscenità provocatorie. Ma il peggio è venuto quando l’ arte è diventata concettuale perchè si è staccata dall’esperienza e dall’abilità manuale per essere solo espressione di disagi psichici. Personalmente per valutare un artista, la sua autenticità e ispirazione guardo anche alla sua vita. Se la sua filosofia di vita o la sua arte non gli hanno procurato gioia, che è alla base dell’essere e della manifestazione del suo talento, avrò qualche dubbio. 

domenica 18 dicembre 2016

Del potere e del prestigio

                                       Colazione da Gabriella,olio su tela


Le cronache degli ultimi giorni riportano gli episodi giudiziari che coinvolgono i sindaci delle due principali città italiane: Roma e Milano. E’ facile riflettere che la classe politica italiana non é mai stata cosi sfiduciata. E’ di ieri l’episodio dell’aggressione di un parlamentare da parte dei cosidetti “Forconi”. L’episodio è stato condannato da tutti ma é un segnale inquietante della rabbia che serpeggia fra i cittadini verso chi governa, fra rappresentati e rappresentanti. Anche l’Istituto del Sindaco a elezione diretta con i casi suddetti mostra le corde e mette in discussione il sistema delle scelte dei candidati, da parte dei partiti o dei movimenti. Una società sana produce rappresentanti prestigiosi e capaci, una società malata produce rappresentanti inadeguati. Il potere del resto fa gola a tutti ma gli spiriti più evoluti non sono disposti a barattarlo con la propria onestà e coerenza, ne consegue che in momenti di crisi valoriale vengano selezionati quelli che invece sono disposti a tutto . Un proverbio napoletano recita:” Comannà é meglio che fottere”, a sottolineare che da sempre il potere come possibilità di comandare sugli altri dona piacere soprattutto agli sprovveduti, cioé quelli che non hanno altre risorse intellettuali , morali o spirituali. Quando Mara tento’ il Budda gli propose appunto di darsi alla politica. La stessa cosa fece il demonio nel deserto quando tento’ il Cristo. In questa situazione dunque rischiamo di mandare al potere il peggio della società, gli arrivisti, gli impostori, gli arroganti e prepotenti, quelli che da sempre sono stati definiti i cosidetti demagoghi. E veniamo ai due sindaci: ho già espresso in altro scritto il mio parere sulla Raggi, troppo giovane e sprovveduta buttata li da un movimento di protesta che sta dilagando proprio grazie allo scontento generale della situazione descritta e che non ha certo avuto il tempo di selezionare i propri quadri.  Il sindaco di Milano invece é un manager  capace che è stato in grado di organizzare  Expo nei tempi stabiliti e con grande successo. Sala dunque è uomo di prestigio con esperienza e capacità che rischia di essere messo in difficoltà dalla magistratura per gli appalti di Expo. Il potere giudiziario in Italia,, da Tangentopoli in avanti, condiziona la politiica e questo é un altro segnale negativo del rapporto  malato fra cittadini e delegati a rappresentarli. Anche i magistrati infatti non rinunciano al vizio del protagonismo e dell’arrivismo usando gli avvisi di garanzia come armi per colpire influenzando i mass-media che notoriamente costruiscono o abbattono il consenso politico. In questa situazione si crea una grande confusione in cui la gente finisce per odiare la politica e i suoi rappresentanti, manda al potere chi non se lo meriterebbe e la selezione, anzicché la comunità, la fa la magistratura che invece dovrebbe intervenire solo occasionalmente e in silenzio. Si innesca cosi un clima di sospetto e di sfiducia verso questi privilegiati che oltretutto godono di stipendi altissimi rispetto alla media e questo, in periodo di crisi, é estremamente pericoloso. Cosi le riforme pur necessarie le tentano personaggi non all’altezza e senza il prestigio necessario per cui vengono bocciate. Il socialismo riformista purtroppo in Italia ha sempre avuto vita difficile e non da ieri.


martedì 22 novembre 2016

Degli scali ferroviari a Milano

                                         Città ideale, acquarello e pastello su carta, 2006

Degli scali ferroviari a Milano


A Milano si dibatte sulla destinazione degli ex scali ferroviari e vengono proposte varie ipotesi di utilizzo con indici di edificabilità piuttosto alti in relazione alle richieste del prezzo di vendita da parte delle FS. Il solito ragionamento è questo: siccome il valore delle aree edificabili limitrofe è tot anche le FS è giusto che pretendano un corrispettivo adeguato da parte del Comune. E’ assurdo che questo accada tra due enti che avrebbero come scopo il servizio ai cittadini e il bene comune.  Pare infatti che, forti di questo ragionamento e sostenute dalla proposta della giunta Pisapia, bocciata in consiglio comunale, di un alto indice di edificabilità le FS abbiano pensato bene di affidarsi ad una agenzia che le mettesse  sul mercato.  Sarebbe opportuno ricordare alla proprietà che il valore delle aree non viene generato da loro azioni sul territorio ma dallo sviluppo che il Comune ha programmato. E’ lunga la storia della regolamentazione del valore aggiunto in urbanistica e non siamo ancora giunti alla fine in assenza di una chiara legge dei suoli. Negli anni 60 e 70 il CIMEP espropriava a prezzi agricoli i terreni per costruire edilizia convenzionata e popolare perchè la cultura dell’epoca indicava il valore aggiunto dei terreni edificabili non un diritto della proprietà ma un di più generato dalle scelte del Comune che in qualche modo attraverso gli oneri di ubanizzazione doveva tornare a lui. Non stiamo a sottolineare le storture e le deroghe a tale prassi. Ricordo per inciso il dibattito che genero’ l’istitutzione dei PPA, ovvero piani pluriennali di attuazione,  che  temporalizzavano  la realizzazione del piano regolatore in ragione proprio del fatto che  non era un diritto del privato il valore aggiunto. In seguito ovviamente  sono stati aboliti. La giurisprudenza infatti é riuscita ad avvallare il diritto dei proprietari di essere rimborsati, in caso di esproprio, al prezzo di mercato che é quello di scambio anche se il valore dipende dalle scelte del PGT. Cosi la gran parte dei proprietari espropriati ha fatto causa al Cimep e sono stati rimborsati. Siamo arrivati dunque all’uso in urbanistica della compensazione per mettere tutti sullo stesso piano, in sostanza l’esproprio è diventato una contrattazione fra il privato e il Comune, un baratto: io ti do una cosa a te tu dai una cosa a me . Questo in teoria per non generare disuguaglianze fra i vari proprietari quando la legge stabilisce che in caso di esproprio per pubblica utilità vanno rimborsati al prezzo di mercato delle aree. Tutto cio’ a livello dei privati ma qui trattandosi di enti pubblici la cosa è diversa, in buona sostanza ambedue gli enti dovrebbero avere come scopo il bene pubblico e quindi rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini. Questi ultimi vanno indagati con serietà, fuori dalle diatribe dei partiti e, una volta individuati, dovrebbero fare da base alle scelte urbanistiche. Uno di sicura notorità é il bisogno di bellezza. Ora é evidente che in una città cosi densamente edificata con periferie trascurate, spesso disagiate e cosparse di non luoghi, questo bisogno si traduce in  necessità di natura e risulta pregnante anche in relazione alle sondabili richieste dei cittadini e dei comitati.  Un’altra domanda palese é quella di case a bassi costi e prevalentmente in affitto. Le cifre mostrano chiaramente la situazione, basta guardale: il numero di sfratti per morosità sempre più alto, i senza fissa dimora, il pendolarismo e i giovani obbligati a vivere nella casa dei genitori ecc. Una cosa invece di cui non si sente proprio il bisogno sono nuovi interventi speculativi in un momento in cui l’invenduto del mercato immobiliare è a livelli piuttosto consistenti. E’ inevitabile quindi suggerire, come è già stato fatto da diversi autori, la destinazione a parchi con una modesta quota di edificabile all’intorno, prevalentemente in housing sociale, inframmezzato da poca edilizia di libero mercato che servirebbe ad incamerare gli oneri di urbanizzazione e a creare quel mix sociale tanto auspicato dalla letteratura urbanistica. E’ importante sottolineare pero’, come dicevo in altro scritto, che questi parchi vengano progettati e realizzati  con cura in contemporanea con le costruzioni ai margini puntando sulla qualità altrimenti si rischia il degrado.  Questa dovrebbe essere la proposta dell'amministrazione  comunale alle FS che essendo un’azienda statale non dovrebbe comportarsi come un privato e tendere al proprio guadagno e non al benessere dei cittadini, ricordando che  il plus valore è generato dalle scelte comunali.

giovedì 10 novembre 2016

Elezioni americane

                                               Fiori allo specchio, olio su tela 2013

Poiché tutti commentano la sorpresa della vittoria di Donald Trump alla corsa per la Casa Bianca cerchero’anch’io di dare una interpretazione a questo evento. Ho già scritto su questo blog nel 2013 un post su la politica ai tempi della televisione che poi è stato pubblicato anche su Corriere online. In sostanza lamentavo nelle democrazie occidentali ipermediatiche la scissione fra i cittadini e la rappresentanza politica. In tempi in cui i mass media erano molto ridotti la elaborazione teorica avveniva nei circoli e nei salotti borghesi e trovava uno sbocco attraverso il passaparola di attivisti che si assumevano il compito di divulgare il nuovo messaggio. Basti pensare ai rivoluzionari russi piuttosto che al nostro Mazzini che dalla clandestinità influenzava l’azione di migliaia di giovani. Esisteva cioé un rapporto diretto fra la elaborazione delle idee politiche e la loro applicazione. In regime di sovrabbondanza dei media, soprattutto la televisione,che vengono manipolati da gruppi di potere interessati si ha un allargamento dell’informazione ma al  contempo un abbassamento del livello di autonomia intellettuale. In sostanza veniamo trasformati da cittadini in consumatori passivi e la politica diventa marketing televisivo, come qualsiasi prodotto di consumo.Le elezioni americane sono un esempio emblematico di quanto detto infatti i candidati investono molto in spot pubblicitari e usano a dismisura il mezzo televisivo per autopromuoversi, il sostegno di media é essenziale per la campagna presidenziale. Tutta questa organizzazione del consenso a volte infastidisce e mostra l’arroganza tipica del potere di sostituirsi in toto all’opinione reale della gente che, benchè anestetizzata, tuttavia non è stupida e qualche volta reagisce in modo imprevedibile. Nel caso suddetto Hillary aveva il sostegno di tutti i media ma ha perso proprio perchè non piaceva, troppo immersa nell’apparato, e vi è stata una sorta di ribellione al cosidetto establishement. Non è che Trump non sia un prodotto televisivo, lo è e come,  tuttavia dà l’impressione di essere più originale e fuori dalla casta politica. Interpreta insomma l’istanza di rinnovamento che serpeggia nei cuori della gente costretta a subire le decisioni più che partecipare a prenderle. E’ chiaro che ambedue i candidati non sono che burattini nelle mani dei poteri economici. Come dicevo a proposito del berlusconismo lo spirito di un’epoca trova poi il modo di incarnarsi in un soggetto che si trova nel posto giusto al momento giusto ed è spinto dalla sua divorante ambizione. Tump oggi é l’espressione di questa esigenza di più fantasia al potere, speriamo che riesca a stupirci.      

mercoledì 26 ottobre 2016

Dei parchi urbani

                                              Giardimi Montanelli, acquarello su carta, 2009

Vedo sui giornali che a Milano si dibatte molto intorno alla destinazione a verde degli  ex scali ferroviari ed anche di altre aree, come se questa destinazione in se costituisca una panacea di tutti i mali della città. Ecco cosa scrivevo a proposito dei parchi su L’altro architetto.

Il problema del verde in città è annoso e si trascina dalla prima rivoluzione industriale. In genere nella città europea i parchi centrali sono i giardini dei palazzi nobiliari di un tempo, che sono diventati pubblici. All’esterno sono invece aree faticosamente sottratte alla speculazione edilizia e attrezzate per il tempo libero. Ora, non è detto che grandi aree verdi, a parte il benefico effetto sul clima urbano, siano luoghi di delizie: occorre che prima di tutto vi sia una buona sorveglianza, i quartieri che vi si affaccino non siano solo malfamati, e che quindi il parco non diventi a sua volta un non-luogo, abbandonato in certe ore del giorno. Esso va vissuto. Sarebbe meglio avere tanti piccoli giardini che non grandi parchi che nessuno gode. I grandi parchi dovrebbero funzionare come oasi del continuum costruito, dove chi vuole può avere la possibilità anche di praticare l’agricoltura e coltivarsi un orto: allora si avrebbe una presenza continua di persone che tornano alla natura per lavorare la terra come un tempo, con una produzione di frutti che può costituire una risorsa. Del resto anche il paesaggio agrario che circonda le aree urbane ha una sua nobiltà storica, che dovrebbe essere difesa. Vivendo nelle città, spesso, ci dimentichiamo che è dalla natura che scaturisce la vita, anche la nostra, e quindi il sentimento legato alla bellezza, che ce la fa scoprire, si rivolge in primis a lei, se accettiamo la definizione: bellezza uguale rispetto per la vita. La natura quindi è bella in quanto, per dirla con i Greci, è manifestazione di cosmos, ovvero dell’estetica dell’essere. Tuttavia in natura vigono le differenze: ogni organismo e luogo hanno un loro potenziale energetico relativo alla loro funzione nel sistema. Certi organismi noi li vediamo brutti perché li togliamo dal loro contesto vitale e proiettiamo su di loro le nostre parti poco gradevoli. Alla domanda se, allora, sia bella solo la natura, si può rispondere che è bella la natura, ma è altrettanto bella la produzione artistica in chiave ecologica. Ecco perché i giardini, i parchi e gli alberi nelle città ingentiliscono e umanizzano panorami artificiali a volte squallidi e costituiscono una componente estetica non indifferente nelle aree abitative e lavorative. Da L'altro architetto . Giampiero Casagrande editore

venerdì 30 settembre 2016

Ancora di periferie

                                            L'albero dei poeti, acquarello su carta 2011

Perchè è cosi difficile risanare le periferie? Come già esposto in un mio recente articolo è stata la prima rivoluzione industriale a generare i grandi agglomerati periferici, in Francia chiamati banlieues.Le fabbriche si sono stabilite fuori dalle mura della città storica ed hanno pompato manodopera, dalle campagne prima, dai paesi sottosviluppati e dal terzo mondo poi, che avendo necessità abitative ha obbligato amministratori e imprenditori a costruire case nel circondario. Quando le fabbriche si sono trasferite, nel processo di terziarizzazione della città, sono rimaste le case con i grandi buchi delle aree ex industriali. Queste abitazioni naturalmente non brillano per qualità e soprattutto spesso mancano delle infrastrutture necessarie che  l’amministrazione pubblica o i privati lasciano in sospeso per anni. E’ emblematica la questione dei problemi legati all’igiene edilizio nella fine ottocento in Inghilterra e da noi nella prima metà del secolo scorso.Molte volte questa situazione è durata per diverso tempo tanto da far crescere due o tre generazioni di abitanti in situazioni precarie. Questa realtà ha provocato e approfondito il solco che separava e separa i diseredati dai  privilegiati, ovvero i poveri dai ricchi, oggi in regime di globalismo e di sviluppo dei trasporti è più profonda la disuguaglianza fra periferia e centro di una stessa città che tra paesi diversi. Teniamo presente che ormai il termine “periferico”si applica a tutto cio’ che viene trascurato. Infatti la casualità e l’abbandono, oltre alla trascuratezza, sono lo stigma di queste conurbazioni dove regna il disprezzo per la vita comune. Plotino affermava che è brutto cio’ che la nostra anima trascura, cioè senza cura, è evidente dunque che le categorie del brutto le troviamo prevalentemente in periferia. Naturalmente cio’ non è sempre vero ma nell’immaginario comune è cosi. Ora per rendere il brutto bello occorrono primariamente da parte del soggetto pianificatore cura, attenzione e amore ma non è semplice in una popolazione abituata da sempre al brutto. La cura è qui intesa come esecuzione a regola d’arte, l’attenzione è il contrario di negligenza e disattenzione, nel nostro caso rispetto al sito e all’utenza, il risultato migliore essendo sempre quel manufatto che si potrebbe considerare come se fosse sempre esistito: cioè che finisce per arricchire e completare un luogo. Infine l’amore è quindi una volontà che inserisce il proprio fare in una finalità di benessere e rispetto per la vita. Queste qualità soggettive si sostanziano poi negli oggetti  in ordine, equilibrio, eleganza e coerenza. Vi pare che queste siano condizioni facilmente raggiungibili? A volte occorrono decenni per invertire la tendenza al degrado, non bastano interventi episodici calati dall’alto e nemmeno abbattimenti a volte necessari. Torno a ripetere quanto affermato in un mio precedente scritto e nel mio libro, “L’altro architetto”, che la presenza del verde, nel senso di giardini ben curati, alberi, fiori ed elementi vegetali puo’ aiutare a invertire la tendenza al degrado perchè la loro bellezza, frutto della cura, è fortemente contagiosa, come anche curare l’arredo urbano che denota ordine e presenza dell’autorità, senza considerare il risanamento delle case i cui abitanti sono affetti da sick building sindrome, sindrome da edificio malato, pare che il 20% del patrimonio immobiliare italiano sia costruito con materiali che creano questo problema. Senza fare i soliti proclami di interventi magniloquenti da affidare al solito archistar di turno cominciamo da qui. 

Queste note sono tratte dal libro L'altro architetto che verrà ripresentato il 7 ottobre ore 17 a Bordighera  all'Istituto internazionale di Studi Liguri via Romana 39  

mercoledì 14 settembre 2016

Assisi città della pace

                                           Bouquet di rose inglesi, acquarello su carta

Assisi capitale della pace da domenica 18 a martedi 20 settembre. Leggo sui quotidiani che 450 capi religiosi si trovano nella città di San Francesco per promuovere la pace. Iniziativa ormai alla trentesima edizione, visto che fu istituita da Giovanni Paolo II nel 1986, raccoglie molti consensi e contraddice chi afferma che sono le religioni a scatenare le guerre. E’ vero che nel passato vi sono state guerre combattute per motivi religiosi ma il fondamento è sempre la ricerca del potere e del prevalere gli uni sugli altri in un pensiero dominante dualistico che divide l’umanità in amici e nemici. Questo non succedeva solo per le religioni ma altresi per le patrie intese come qualcosa di assoluto che alimentava la competizione fra gli esseri umani. In verità le guerre vengono scatenate dalla volontà di potenza. Giustamente François Mauriac affermava che Nietzche è il filosofo del senso comune infatti le nostre abitudini fomentano la volontà di potenza. Vogliamo essere i migliori, i più bravi i più più di tutto e non ci sentiamo mai appagati, creando cosi il conflitto in noi e con gli altri. Nella psicologia buddista si afferma che in noi coabitano i semi di tutto, della gioia e della solidarietà come della paura e della rabbia, queste sementi sono a livello conscio o inconscio, sotterraneo, bisogna alimentare i semi positivi della creatività, della concordia e della felicità anzicchè quelli negativi dell’odio e della paura. L’iniziativa di Assisi va vista in quest’ottica perchè purtroppo noi viviamo in un mondo che innaffia continuamente sentimenti negativi attraverso la continua competizione e la continua esaltazione di bisogni fittizi che ingigantiscono il  sentimento della mancanza. Il consumismo è alla base della nostra economia e ci rende perennemente scontenti, la sobrietà invece puo’ essere felice in quanto non alimenta continue mancanze ma si soddisfa del poco. Se mettiamo insieme volontà di potenza e sentimento della mancanza abbiamo l’esplosivo che scatena le guerre. Del resto una econonomia che si sostiene anche con la produzione di ordigni bellici non puo’ essere cosi ipocrita da pretendere la pace. Ho già scritto di Kant che diceva essere presupposti per una pace perpetua un organismo internazionale riconosciuto per dirimere le contese fra stati e l’abolizione degli eserciti permanenti. Queste sono due condizioni utopiche ancora lontane da essere raggiunte nonostante l’Onu. E’ comunque bene che i capi religiosi si riuniscano nel nome della pace ad Assisi, città bellissima e patria del Santo più amato, per i motivi che dicevamo e perchè la vicinanza della bellezza puo’ essere un antidoto alla guerra, Venere disarma Marte ma bisogna passare dalla filosofia dualistica dell’essere e del non essere a quella unificante dell’interessere. Francesco infatti cantava:”Dolce è sentire che non sei più solo ma che fai parte di una immensa vita”.